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JOE ZAWINUL - IL "PADRE" DELLA FUSION
di Marco Piretti
Articolo pubblicato sul numero di Agosto 2001 della rivista JazzIt.

 

Joe Zawinul è stato definito l’unico europeo che sia stato in grado di cambiare la storia del jazz.

Nato a Kirkbach, in Austria, il 7 luglio 1932, inizia giovanissimo a suonare la fisarmonica, manifestando immediatamente il suo interesse per la ricerca musicale e modificando il suono dello strumento utilizzando un pezzo di stoffa preso da un vecchio tavolo da biliardo.

Dopo aver studiato al Conservatorio di Vienna nei primmi anni ’50, inizia ad esibirsi come pianista insieme a musicisti jazz locali quali Hans Koller, già famoso per le sue precedenti collaborazioni con Dizzy Gillespie, Lee Konitz e Stan Kenton.

Nel 1959 decide di trasferirsi negli USA e sbarca a New York. “Quando arrivai lì” – ricorda Zawinul, intervistato dalla TV tedesca WDR, “fui ospite alla Berklee School per alcune settimane, avevo vinto una borsa di studio con il giornale Downbeat […]. Ella Fitzgerald stava lavorando al “Domizil” a Boston, e all’epoca stavano costituendo una band che suonasse prima dell’attrazione principale. Il mio insegnante di pianoforte, Ray Santisi, un bravo pianista, mi mandò lì. Cercavano un pianista perché il loro era malato. Allora mi ascoltarono suonare, e presi il lavoro. Il batterista era Jake Hanna […]; dopo la prima parte dello show chiamò Maynard Ferguson e gli disse: ‘Senti, c’è qualcuno che dovresti sentir suonare’. Il pianista di Ferguson doveva lasciare la band per svolgere il suo servizio militare. Il giorno dopo andai a New York in treno per l’audizione all’Apollo Theatre, e ottenni il posto”.

Negli Stati Uniti, dove frequenta principalmente la comunità di colore, in tempi di segregazione razziale, Zawinul viene accolto favorevolmente dall’ambiente ed inizia una serie di collaborazioni importanti. Oltre a Ferguson, una delle più rilevanti è quella con Dinah Washington, all’epoca una delle vocalist più ricercate in assoluto. “Una sera, vivevo nella casa di Slide Hampton a Brooklyn ed era una serata molto calda, mi venne in mente di andare al Birdland, molto strano; feci una doccia rapida e andai. Nel momento in cui aprii la porta del Birdland, Dinah Washington era dall’altro lato della porta, mi guardò e disse: ‘Sei tu quello che ha suonato ad Atlanta?’. Dissi di sì, e fui invitato al Village Vanguard il giorno successivo, dove lei aveva un ingaggio per una settimana. Arrivai lì con il cantante bebop Babs Gonzales, e dopo il primo pezzo Dinah mi chiamò sul palco e mi ingaggiò. Da quel momento suonai con lei per due anni”.

Si tratta di tempi “eroici”, suonare jazz poteva anche essere pericoloso, specie per un bianco che suonava continuamente in locali per soli neri. “Non vivevo mai a contatto con i bianchi, – racconta Joe – ero sempre insieme ai neri, dovevo e volevo farlo. Effettivamente non mi piacevano i bianchi, non avevo molto da spartire con loro visto che ero l’unico bianco in una band di colore. Ho sempre vissuto nei quartieri neri con famiglie nere, mi hanno trattato come un principe, è stato un periodo formidabile per me. Una volta abbiamo suonato in una cittadina del Texas, nessuna strada asfaltata, un po’ come il mio villaggio di origine. […] Il proprietario del club era nero, non avevano la licenza per vendere liquori quindi il pubblico pagava un extra per gli accessori (bicchieri, ghiaccio, soda ecc.) mentre i liquori se li portava da casa (ecco come andavano le cose). Volevo entrare sul palcoscenico quando una donna bianca molto grassa con una pistola sul fianco mi dice: ‘Dove vai amico?’ […] risposi: ‘vado lassù e suono’, ma lei dice: ‘no, non qui’. Devi immaginare la scena, il locale pieno di gente di colore, sei o settecento persone che aspettavano lo show. Allora sono andato nel camerino e ho detto a Dinah cos’era successo, le lei disse: ‘lui non suona, io non canto’. Il proprietario venne giù a pregarci di suonare: ‘Vi prego, distruggeranno il mio club, mi bruceranno la casa!’ Ma Dinah aveva deciso di non cantare così scappammo dalla finestra, e mentre entravamo in macchina ci accorgemmo che già c’erano dei disordini. Distrussero completamente il locale”.

 

A partire dal 1961, per quasi nove anni, Zawinul entra a far parte della band del sassofonista Julian “Cannoball” Adderley; All'inizio degli anni Sessanta Adderley è uno dei più illustri portavoce di un nuovo genere , più tardi denominato "soul Jazz", che combina la complessità del bebop con il ritmo della musica afroamericana. Si tratta un periodo di grande prolificità artistica e innovazione; Zawinul contribuisce in modo massiccio al successo del gruppo, al quale appartengono anche il bassista Sam Jones, il batterista Louis Hayes ed il flautista Yusef Lateef, oltre che al fratello minore di Adderley, Nat. Alcune sue composizioni, prima di tutte la celeberrima “Mercy, Mercy, Mercy”, ottengono grande successo e notorietà. Il periodo trascorso come sideman nella band di Cannoball risulterà fondamentale per la formazione della sua personalità musicale; oltre a questo tra i due nasce una sincera amicizia. Il rapporto di Zawinul con la comunità nera in quegli anni è importantissimo per la comprensione della sua musica degli anni a venire.

“Suonammo con Cannoball a Baltimora, nel Nord, nel 1961, probabilmente in ottobre, era un club di striptease. Durante il concerto mi accorsi che non c’erano neri seduti tra il pubblico, ma c’era molta gente di colore all’esterno che aspettava in piedi. Durante il break, uscii fuori ed ero molto imbarazzato di questo. Andai da Cannon e gli dissi: ‘senti, non m’interessa se mi caccerai fuori o cosa, ma non voglio continuare a suonare qui’. […] Nel frattempo il pubblico iniziava a innervosirsi, il proprietario del locale ci chiese cosa stesse succedendo, e gli dissi: ‘continuiamo a suonare solo se lasci entrare la gente di colore’. Alla fine cedette e disse: ‘va bene, avremo dei problemi stasera, ma aprirò’. In qualche modo fu un trionfo che una cosa del genere accadesse in quel posto. I neri entrarono, vestiti elegantemente, il locale era pieno, suonammo ottima musica, e il pubblico fu beneducato’.

 

Alla fine degli anni Sessanta Joe Zawinul, ormai uno dei più famosi pianisti del panorama jazzistico mondiale, avvia un rapporto di collaborazione con Miles Davis. All’epoca il trombettista è totalmente dedicato alla costruzione di un nuovo genere, capace di combinare e fondere armonicamente stili diversi quali il jazz, naturalmente, ma anche il soul, il blues ed il rock. Sono gli albori della nuova era della “Fusion”, della quale Zawinul costituisce uno dei veri fondatori. Pietre miliari di questa nuova epoca musicale sono gli album registrati da Davis in questi anni, quali “Bitches Brewe “In A Silent Way”, non a caso entrambi gli album traggono i loro titoli da composizioni di Zawinul.

In particolare la seconda costituisce senz’altro uno dei suoi capolavori ed una chiara manifestazione della sua grande originalità compositiva; egli stesso sembra prendere atto della raggiunta maturità e decide di incidere il pezzo con Davis piuttosto che con Cannonball. “ Nel dicembre del 1968 tornai per la prima volta a Vienna, con i miei tre bambini, che lasciai dai miei genitori, mentre io e mia moglie dormimmo in albergo. Nevicava e la sensazione di essere ritornato a casa, m'ispirò il brano che scrissi di getto, in due minuti, In A Silent Way, senza il pianoforte, né la carta da musica. Avevo in testa il suono che questo brano doveva avere, un suono immaginario”.

L’arrangiamento imposto da Davis alla sua composizione non soddisfa tuttavia pienamente Zawinul, che ritiene sia giunto ormai il tempo di “mettersi in proprio”. Il carattere dei due musicisti, inoltre, entrambi dotati di forte personalità e propensi alla leadership, non è favorevole allo stabilirsi di un duraturo rapporto musicale.

 

Nel 1970 così Zawinul pubblica il suo primo (e omonimo) album solista,  nel quale ripropone il brano con un diverso arrangiamento. Un altro dei pezzi inclusi nel disco, “Doctor Honoris Causa”, è dedicato a Herbie Hancock che partecipa alle registrazioni suonando un secondo piano elettrico.

In uno solo dei pezzi appare il sassofonista Wayne Shorter. Reduce da una settennale collaborazione proprio con il quintetto di Miles Davis, una formazione storica per la storia del jazz, con la quale si è messo in grande evidenza per le sue abilità di compositore e arrangiatore, Shorter entra in particolare sintonia con Zawinul, tanto che i due decidono di fondare una propria band.

Ricorda Zawinul: “C’era un giovane bassista di Praga, Miroslav Vitous, e formammo rapidamente una band. Iniziammo a suonare un po’, io andai immediatamente da Clive Davis (responsabile della CBS, ndr) e subito ottenni un ottimo contratto. […] Cercavamo di trovare un nome per la band, ed un pomeriggio – sedevamo nella mia music room a New York, Wayne e Miroslav erano lì – dissi: ‘Sentite, dobbiamo avere un nome che la gente ascolta ogni giorno, tipo Daily News’, però non suonava bene. Allora Wayne disse: ‘Weather Report’, e quello fu il nome”.

 

Quello che i Weather Report hanno rappresentato per la musica moderna è difficile dirlo, sicuramente, quando si parla di jazzrock o di Fusion, è questo il gruppo che viene in mente, quasi come un riflesso condizionato. Osannati dalla critica e un po’ “snobbati” dal grande pubblico nei primi anni di attività, hanno successivamente conosciuto un successo di massa e proprio allora sono stati abbandonati da parte della critica “purista”. Fatto sta che ancora oggi, ascoltandoli, si ha l’impressione che nessuno sia  riuscito ad avvicinarsi ai loro livelli. Autori di ben 16 album (se contiamo anche il doppio“Live in Tokyo” inizialmente pubblicato solo in Giappone) in altrettanti anni di attività, i Weather Report hanno esplorato davvero ogni angolo della musica, hanno rifiutato di sottomettersi ad uno stile unico e ripetitivo, hanno realizzato una “musica totale” aperta ad ogni influenza e ad ogni suono.

I primi album sono quelli più legati allo stile dell’era “davisiana” (Weather Report del 1971, I Sing The Body Electric del 1972, Sweetnigher del 1973, nel quale però già si avvertono i primi segni del cambiamento). In questo momento la musica del gruppo è ampiamente improvvisata, anche se sconvolge i canoni tradizionali del jazz fondati sul modello del “tema-assoli-tema”. Il motto del gruppo è giustamente “noi siamo sempre in assolo e mai in assolo”: ogni elemento impegnato senza soluzione di continuità su una base ritmica ed armonica definita.

Il successivo Mysterious Traveller costituisce un netto cambiamento di stile e porta la band a livelli di maggiore attenzione da parte del pubblico. Con l’ingresso del basso elettrico di Alphonso Johnson, si passa ad uno stile in cui l’influenza del rock e di sonorità esotiche diventa più sensibile, e la ritmica più serrata ed avvolgente. Il successivo Tale Spinnin’ (1975), che contiene alcune delle migliori composizioni, segna un apparente riallacciamento alle tematiche precedentemente sviluppate. Poi arriva l’incisione del primo “superalbum” della band, Black Market (1976), che per di più vede l’ingresso nella formazione di Jaco Pastorius, bassista dallo stile personalissimo e dalla tecnica rivoluzionaria, non a torto considerato il migliore di tutti i tempi, un personaggio dal quale nessun altro bassista ha in seguito potuto prescindere. Il primo incontro tra i due era avvenuto nell’estate del 1975 durante le prove di un concerto a Miami: “improvvisamente arrivò questo ragazzo dall'aspetto strano, che camminava un po' curvo, - ricorda in proposito Zawinul - totalmente strano, e mi disse: "Signor Zawinul, amo veramente la sua musica, mio padre era un grande ammiratore di Cannonball, ed io sono un grande ammiratore di Cannonball". Ma io non ero proprio dell'umore adatto. Gli risposi: "Davvero? Cos'altro?". "Oh, sì, tra parentesi, il mio nome è John Francis Pastorius III, e sono il più grande bassista del mondo". E non vorrei dirlo, ma gli dissi: "Và a farti fottere da qualche altra parte!". Sai, ero veramente arrabbiato, e non volevo ascoltare un qualsiasi idiota che venisse da me a dirmi cose del genere! Solitamente, quando dico una cosa simile a qualcuno, lui semplicemente se ne va, ma lui se ne stette lì e mi veniva da ridere perché mi guardava con quegli occhi così afflitti, sai. E la giornalista che era con me insisteva e mi disse: "Senti, lui è un po' stravagante ma è un genio come bassista". Allora gli dissi: "Senti, vieni in hotel domani e parleremo. Porta un nastro o qualcosa di simile".

 

Da questo momento inizia un periodo, oltre che di immensa creatività, anche di fama e prestigio: l’album Heavy Weather (1977), nel quale compare tra gli altri il famossissimo brano “Birdland”, viene votato come miglior disco dell’anno negli USA e, pur contenendo solo pezzi strumentali, vende ben 400.000 copie nel solo primo anno di pubblicazione. Il doppio LP dal vivo 8:30  vince il prestigioso Grammy Award come miglior disco del 1979.

Night Passage (1980) è l’ultimo LP dell’epoca-Pastorius, anch’esso un capolavoro, sebbene Jaco appaia anche nel successivo Weather Report – Record (1982) nel quale ormai la formazione è al canto del cigno. Pastorius, desideroso di continuare in proprio la sua carriera musicale, abbandona i Weather Report e per un attimo si pensa di chiudere per sempre il gruppo.

Poi arrivano invece i contatti con il batterista Omar Hakim, considerato da Zawinul “un vero genio”, e di seguito con il giovanissimo bassista Victor Bailey, diciannovenne all’epoca, ed i due membri “storici” dei WR, Zawinul appunto e Shorter, decidono di proseguire.

Ed è una fortuna, perché la band ritrova momenti di grande espressività e creatività, riuscendo ancora una volta a regalare incisioni di grande spessore quali Procession (1983), Domino Theory (1984) e Sportin’ Life (1985), che è l’ultimo vero album dei Weather Report, intesi come sodalizio tra Joe Zawinul e Wayne Shorter. Nel successivo This Is This, uscito nel 1986, Zawinul, che ha sempre costituito l’anima più profonda del gruppo, ha già deciso di accentuare nella sua musica le influenze esotiche ed africane, ed ha introdotto un nuovo strumento, la chitarra elettrica, suonata nell’occasione da Carlos Santana, che di fatto emargina quasi completamente il sassofono di Shorter. E’ dunque finita l’epoca dei Weather Report. Vale la pena ricordare che fino a quel momento il gruppo è stato votato dal prestigioso staff di Downbeat come migliore band per 15 anni consecutivi, mentre Zawinul ha vinto il premio come miglior tastierista per 21 volte negli ultimi 23 anni.

 

E’ stato detto che Joe Zawinul abbia sistematicamente compiuto degli errori a livello di strategia commerciale nei momenti più importanti della sua carriera. Forse l’affermazione è un po’ esagerata, tuttavia contiene degli elementi di verità, e di certo dimostra la preponderanza dell’interesse del musicista per la ricerca e l’innovazione piuttosto che l’attenzione ai gusti del pubblico. Qualcosa di simile si era verificata già con i Weather Report, quando, nel 1978, subito dopo il successo clamoroso di Heavy Weather, era stato pubblicato un album difficile, sperimentale, dominato dai sintetizzatori come Mr. Gone. Così l’inizio del dopo-WR è segnato da iniziative “controcorrente”. Dapprima l’album Dialects (1985), troppo incentrato sui timbri digitali per incontrare il consenso del pubblico, che pur si aspettava molto dal primo lavoro solista di Joe Zawinul dal 1970. Successivamente la formazione dei Weather Update, nella quale appaiono “vecchi” componenti dei WR come Peter Erskine, Robert Thomas Jr. e Victor Bailey, affiancati dal chitarrista Steve Khan, che si dimostra per varie ragioni ben lontana dal raggiungere le performances della precedente band e che si esaurisce rapidamente dopo poco più di un anno di attività.

 

Joe Zawinul saprà continuare a produrre una musica di grande valore, saprà innestarsi nuovamente nel suo abituale ruolo di innovatore, soltanto sottoponendo a profonda revisione i propri canoni espressivi. Nella sua musica saranno sempre più presenti influenze esotiche, la sua ispirazione sarà sempre più tratta da una molteplicità di linguaggi musicali abilmente dissezionati e riassemblati in un mix assolutamente coerente.

 

La “svolta” diviene più percettibile nel 1988, quando esce il primo album (intitolato The Immigrants) della sua nuova (ed attuale) band, i Zawinul Syndicate, inizialmente caratterizzata dalla presenza del chitarrista Scott Henderson e di un altro bassista fenomenale, lo statunitense Gerald Veasley, virtuoso del basso a sei corde e dotato di grandissime doti ritmiche ed armoniche.

Dopo altre due opere importanti create durante la collaborazione con Veasley, Black Water (1989) e Lost Tribes (1992), Zawinul si dedica principalmente a frequentissimi concerti dal vivo, nonostante la sua età non più giovanissima, non disdegnando alcune collaborazioni in materia di musica classica con il pianista viennese Friedrich Gulda. Nel 1996 pubblica ben due dischi, uno con i Syndicate (My People, che riceve una nomination al Grammy come miglior album World Music), l’altro è addirittura una sinfonia, la prima sinfonia della World Music forse, scritta interamente da Zawinul e suonata da un’orchestra sinfonica, Stories Of The Danube.

Potrebbe sembrare il coronamento di una carriera incredibile, l’ora della pensione, insomma… e invece inizia per Zawinul un momento di intensissima attività dal vivo, con 80-90 concerti l’anno, assieme ai Zawinul Syndicate che, tra il 1996 e il 1999, sfoggiano musicisti di grandissimo rilievo internazionale, quali i batteristi Paco Sery e Kharim Ziad, i bassisti Victor Bailey (ex-Weather) e Richard Bona, i chitarristi Gary Poulson e Amit Chatterjee, il percussionista Manolo Badrena, anche lui nei Weather dal 1976 al 1978.

A sugello di questa incredibile stagione di musica, i Syndicate realizzano un doppio album dal vivo, World Tour, nel 1998, nel quale è possibile cogliere l’energia di una musica totalmente suonata, ed a livelli decisamente alti.

 

Attualmente Joe Zawinul, 68 anni, continua senza sosta la sua attività musicale, sempre con risultati assolutamente rilevanti. Nel 1999 ha composto un album, a scopo benefico, dedicato al campo di concentramento austriaco di Mauthausen. Nel corso del 2000 ha continuato il suo tour con i Syndicate, rinnovati dalla presenza del nuovo batterista, l’americano Nathaniel Townsley, esibendosi, oltre che negli USA, in America Latina, Europa ed Australia. Parallelamente è stato pubblicato un video, “Two Years with the Zawinul Syndicate” (AZ-IZ Music Productions) che documenta i tour mondiali del gruppo degli anni 1997-98, davanti e dietro le quinte.

Nell’agosto dello stesso anno ha presentato una variante ai Syndicate, un nuovo gruppo denominato “Zawinul Special Project”, con la partecipazione della vocalist Maria Joao e del virtuoso della fisarmonica Lelo Nika. E’ stato inoltre protagonista della manifestazione “La Notte della Taranta” a Melpignano (LE), nel corso della quale ha diretto un’orchestra locale ed ha tenuto a registrare alcuni suoni di strumenti a percussione tradizionali.

Per l’anno in corso è previsto un tour europeo dei Syndicate che saranno dotati di un nuovo bassista, Etienne M’Bappé, anche lui appartenente al gruppo di musicisti afro-francesi dal quale Zawinul ha già in passato più volte attinto (oltre a Bona ricordiamo il batterista Karim Ziad che lo ha accompagnato nei tour del 1998 e 1999), oltre alla pubblicazione di un nuovo album che dovrebbe essere pubblicato nel prossimo autunno.

Da segnalare, infine, la pubblicazione della prima biografia autorizzata di Joe Zawinul, scritta dall’esperto musicale Brian Glasser e pubblicata, per ora soltanto in Inglese, dalla casa editrice Sanctuary Publishing. Si tratta di un libro ben fatto e molto interessante, il primo tentativo di ricostruire in modo sistematicola storia di questo musicista per il quale la parola “leggendario” non sembra, per una volta, inappropriata.

Marco Piretti
info@zawinulfans.org
28/04/2001

 

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