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25 anni con Zawinul:
la colonna sonora della mia vita
di Fabio Di Biagio

 

Introduzione

Era l'autunno del 1974 quando mio cognato mi regalò il 33 giri Mysterious Traveller dei Weather Report a suo dire un gruppo di musica jazz-rock (termine molto in voga in quel periodo) di grande interesse. Lui li aveva scoperti in un servizio dedicato al loro nuovo album, nella trasmissione televisiva Adesso musica classica leggera e pop (ve la ricordate? Quella presentata da Vanna Brosio e Nino Fuscagni) e ne era rimasto affascinato. Io che ero abituato ad ascoltare Lucio Battisti, l'Equipe 84 e al massimo le hit di Carlos Santana, non mostrai particolare entusiasmo per quel dono.

Misi sul piatto del mio stereo compatto della Davoli il disco e cominciai ad ascoltare il primo brano, Nubian Sundance.

Non avevo mai sentito niente di simile e mentre le note del disco riempivano ogni angolo della stanza, mio cognato mi parlava con notevole enfasi di un certo Joe Zawinul, tastierista e leader dei Weather Report, di cui imitava il suo modo di muoversi e gesticolare tra le innumerevoli tastiere con pannelli modulari, piene di levette, potenziometri e led luminosi.

Al mio orecchio profano questa musica risultò caotica, con suoni spigolosi e di difficile ascolto. La mia prima impressione non fu positiva, ma qualcosa stava maturando in me.

Sentivo che questa musica doveva essere ascoltata e riascoltata con più attenzione per apprezzarne tutto il suo valore, e così feci.


La copertina di "Mysterious Traveller"

A poco a poco il mio orecchio si affinò e quel disco mi entrò dentro definitivamente. La musica dei Weather Report era sì complessa, ma molto intensa, ricca di atmosfere rarefatte, sospese, un caleidoscopio di ritmi, di colori, di timbri, un arcobaleno di note che mi dava sensazioni meravigliose, evocava immagini di gente e paesi lontani.

Dopo qualche anno mio cognato mi invitò al concerto dei Weather Report ritornati in Italia dopo la loro unica apparizione alla prima edizione di Umbria Jazz del 1973.


Il biglietto del concerto che ancora conservo come una reliquia

Era il 15 luglio del 1976 al PalaEur di Roma. Per me fu una serata storica, un concerto da mille e una notte, indimenticabile. Il mio primo concerto. E pensare che per colpa di alcuni esagitati, stava saltando il tutto: era il periodo delle contestazioni giovanili, di chi pretendeva la musica gratis. Scoppiarono dei disordini, con tentativi di sfondamento e lancio di molotov. Il gruppo Napoli Centrale, che aprì la serata, fu costretto ad interrompere il concerto, dopo aver suonato un paio di brani. Per fortuna arrivarono i Weather Report e tutto, a poco a poco, si placò!

Per me fu un'emozione incredibile e da quel concerto scoppiò "violenta" la mia ammirazione per Zawinul.


Zawinul al concerto di Roma del 1976

Quella sera rimasi impressionato anche dal grande Jaco Pastorius che suonava il basso come non avevo mai sentito prima di allora.


Jaco Pastorius al concerto di Roma del 1976

Il giorno dopo il concerto comprai subito Black Market, il loro nuovo album e la folgorazione continuò. Via via acquistai tutti i loro album, andando pure a ritroso. Tale Spinnin (il mio preferito), Sweetnighter, I sing the body electric, ecc. Mi documentai su riviste di musica, libri e giornali, tanto da divenire in poco tempo una sorta di archivio vivente dei Weather Report.

Cominciai a comprendere il lavoro di Zawinul con le sonorità affascinanti e misteriose che uscivano dai suoi sintetizzatori e in particolare dal piano elettrico Rhodes. E proprio da questa passione che decisi di imparare a suonare le tastiere. Cominciai a studiare l'organo, poi il pianoforte, fino ad arrivare a suonare il Rhodes che mio padre mi comprò, felice di assecondare questa mia profonda passione. Ero stanco di studiare gli standard jazz e, con il piano elettrico a mia disposizione, potei finalmente imparare, seppur con difficoltà, a suonare dei brani dei Weather, per poi trovare, col tempo, una mia personale identità musicale.

La musica dei Weather Report era entrata nel mio cuore, cambiandomi la vita. Continuai a seguire Joe Zawinul, l'alchimista dei suoni, con lo stesso entusiasmo, anche dopo lo scioglimento della mitica band. Dalla breve parentesi con i Weather up date, fino all'attuale Zawinul Syndicate, penso di aver visto, da quel lontano 1976, più di una trentina di concerti.


Il biglietto del concerto del 1983

Nel luglio del 1990, l'anno dei mondiali di calcio in Italia, in occasione di Umbria Jazz realizzai il sogno della mia vita: quello di incontrare di persona Joe Zawinul, la leggenda vivente. Grazie a Giovanni Tommaso, ex bassista del Perigeo, organizzatore delle clinics di Umbria jazz, partecipai allo stage di una settimana con Zawinul, che si tenne al Teatro Morlacchi di Perugia, proprio sul palco, di fianco alle sue tastiere, dove ogni sera, per sei giorni, si esibiva con il suo gruppo.


Zawinul con Fabio Di Biagio durante lo stage

Fu un'esperienza emozionante, indimenticabile anche sotto il profilo umano. Zawinul oltre ad essere un grande musicista è una persona molto comunicativa, di grande disponibilità e condusse lo stage in maniera assolutamente atipica. Espose non tanto la sua tecnica, quanto il suo pensiero musicale, le sue esperienze di vita, la sua filosofia, gli aneddoti e qualche prezioso trucco strettamente tecnico. Ecco un estratto delle cose più interessanti e curiose che disse Zawinul, durante questa sei giorni, rispondendo alle innumerevoli domande che noi stagisti, improvvisati giornalisti, gli rivolgemmo.

Intervista a Joe Zawinul

Quando hai sentito che avresti dedicato la tua vita alla musica?

Non so quando. So solo che la musica era l'unica cosa che riuscivo a fare! Io venivo da una famiglia di umili origini. Per lavorare bisognava usare la zappa, scavare, ecc. Mi resi conto che se avessi cominciato a suonare, avrei potuto fare dei soldi, senza farmi venire i calli alle mani! Questa fu la spinta iniziale e poi scaturì l'amore per la musica. Suonavo la fisarmonica per la famiglia, ma odiavo farlo. Volevano tutti cantare; io per tenerli in riga, dirigevo l'orchestra familiare.

Da giovanissimo che musica ascoltavi?

Durante la seconda guerra mondiale, ascoltavo la musica tedesca e quella folk austriaca.

Tu hai sempre saputo ciò che volevi fare nella vita o ci sono stati momenti di incertezza?

Ho avuto dei momenti di scoraggiamento. Quando sono andato negli Stati Uniti, nel 1959, pensavo che lì avrei potuto ottenere tutto quanto desideravo. Dopo alcuni anni, verso il 1962, sentivo che stavo imitando altri pianisti. Studiavo insieme a Barry Harris. Incisi un disco e Barry ascoltandolo, disse che dal modo di suonare il pianoforte sembrava proprio lui. Da quel momento compresi che non potevo andare avanti così. Mi sentivo come se non avessi fatto nulla! Avevo purtroppo la necessità di fare soldi, visto che mi ero sposato e avevo dei figli. Cominciai allora a scrivere, oltre che a suonare. Questo alimentò ciò che era in me già prima di andare negli Stati Uniti, ma che avevo dimenticato appena arrivato, perché tentavo di imitare altri pianisti. Riavvicinandomi alla scrittura, mi sentii rinascere e mi resi conto che avevo qualcosa di diverso, di peculiare, rispetto agli altri pianisti.

Per te che venivi dall'Austria, che sei bianco e che suonavi in un contesto culturale completamente diverso, è stato difficile entrare in contatto con altre culture?

Io suonavo con tutti musicisti di colore e nel periodo della segregazione razziale, dormivo nei loro alberghi, senza alcun problema. A Cannon Ball gli chiedevano continuamente perché non aveva scelto un pianista di colore. Lui rispondeva: "Se mi portate un "nero" che suona come lui, lo assumo!". Volevo suonare con loro, perché potevo fare il jazz che mi piaceva. All'inizio, ero razzista nei confronti dei bianchi che trattavano male i neri. Con me loro si comportavano bene. Mi chiedevo il motivo per cui noi bianchi trattavamo così i neri.

Non credi che ora in America, fortunatamente, la situazione sia un po' cambiata?

No. I problemi ci sono ancora! Se tu sei nero, ma sei Magic Johnson o Bill Cosby, o Michael Jackson e sei ricco, puoi fare tutto quello che vuoi. Ma se sei nero e povero…

Perché ad un certo punto della tua vita hai preferito i sintetizzatori al pianoforte?

Quando ero giovane, a Vienna, lo strumento più temuto era l'organo: la sua gamma di timbri disorientava i musicisti. Io lo preferivo per la sua varietà di suoni. L'organo si può dire che sia stato il primo sintetizzatore. Vivendo in Austria, un paese molto cattolico, lo ascoltavo sempre in chiesa, la domenica mattina. Però la mia famiglia era povera per cui mi potei permettere solo la fisarmonica, l'equivalente dell'organo, visto che ha diversi timbri. Subito dopo la seconda guerra mondiale, ero a Linz, in Austria, a suonare in un club per gli americani e scoprii, per la prima volta, l'Hammond B3. Trascorrevo otto, dieci ore al giorno a provare i vari suoni. Per me è sempre stato importante sperimentare. Dopo la scoperta dell'Hammond, nel 1959, mentre lavoravo con Dinah Washington, Ray Charles fu così gentile da regalarmi il suo piano elettrico Wurlitzer che era però in cattive condizioni. Cominciai così ad alternare il piano acustico al piano elettrico, a seconda delle situazioni. Più scelte ci sono e meglio è, soprattutto dal punto di vista sonoro. Io non capisco perché ci siano ancora musicisti che si ostinano a suonare solo il pianoforte e alcuni critichino la musica fatta con gli strumenti elettronici, dicendo che un'artista quando suona uno strumento elettrico non è più riconoscibile. Io penso che al pianoforte sia possibile riconoscere Oscar Peterson, da un altro pianista, dal suo stile e non da una nota soltanto. Una nota è una questione tecnica, non ha nessun rapporto con chi la suona. Anche le persone dotate di buon orecchio si trovano in difficoltà a distinguere coloro che suonano uno strumento elettrico. Ma è solo una questione di educazione dell'orecchio. Questo tipo di musica appare tutta uguale a chi non ha l'abitudine di ascoltarla. Per molti anni ho lavorato con Friedrich Gulda, che è un grande esecutore di musica e studioso di Chopin. Lui ha un orecchio eccezionale. Mi divertivo a metterlo alla prova nel riconoscere le note che suonavo, ma lui perdeva la sua capacità quando provavo a suonare la stessa melodia sui sintetizzatori. È solo una questione di educazione all'orecchio. Più si riesce a sentire e meglio è. Bisogna scegliere quali suoni vogliamo ascoltare. La cosa importante è riuscire a personalizzare il proprio modo di suonare, avere un approccio individuale. Da piccolo suonavo la fisarmonica: un timbro che si chiama musette, a me non piaceva; per modificarlo e per personalizzarlo presi un panno da biliardo, ne ritagliai un pezzo e lo incollai sulla fisarmonica, in maniera da cambiare il suono. Tra l'altro, suonavo la melodia con la mano sinistra per ottenere effetti differenti da tutti quelli che suonavano in maniera tradizionale. Oggi ci sono i sintetizzatori con tantissimi suoni già confezionati, i presets; è meglio non usarli, ma personalizzarli. Tutti gli strumentisti dovrebbero suonare i sintetizzatori, non solo i pianisti. Oltre alla scelta delle note è importante la ricerca dei suoni perché fa venire in mente nuove idee. Chi ha immaginazione andrà avanti; chi ha immaginazione, suona i sintetizzatori!

Quando scrivi un brano, parti dal suono o dalla melodia?

Se trovo il suono che m'ispira, accendo il registratore e comincio a suonare. È sempre il suono a darmi l'ispirazione. Qualsiasi approccio all'immaginazione va bene, purché sia qualcosa che si sente. La Korg e la Yamaha hanno entrambe degli ottimi strumenti, ma nessuno può parlare con la voce di un altro. La cosa più giusta è trovare un proprio modo di espressione usando i sintetizzatori in maniera personale, per ricercare uno stile che ci caratterizzi. Bisogna evitare di ricreare una melodia da pianoforte con un altro strumento. Una frase di violino, sarebbe impossibile da ricreare con un pianoforte o con una tromba. Bisogna realmente sapere come si produce il suono sullo strumento originario, per poterla ricreare. Sul mio T8 della Prophet ho un suono di violino che sembra vero. Per ricrearlo è necessario che sullo stesso tasto, ci siano più possibilità, in quanto la stessa nota di violino può essere espressa in milioni di piccole differenze. Ho impiegato tre anni per ottenere questo timbro!

Se per comporre parti dal suono, qual'è quello che ti ha ispirato Birdland?

Era il luglio del 1959, ed ero direttore musicale del tour di Dinah Washington. In quel periodo c'era la segregazione razziale. Io ero l'unico musicista bianco che suonava con soli neri. In un concerto non mi vollero far suonare perché ero bianco. Dinah disse che se non avessi suonato, lei non avrebbe cantato. Con Dinah facevo una musica un po' gospel e un po' pop; è da questo tipo di esperienza che mi venne in mente Birdland. Per esempio il suono del Wurlitzer, che mi aveva regalato Ray Charles, m'ispirò per scrivere Mercy, Mercy, Mercy. Ero in uno studio, a registrare con Cannon Ball Adderly; in un angolo della sala, c'era un piano elettrico Wurlitzer: gli proposi di suonare la canzone con quella tastiera e lui accettò.

Hai mai scritto un brano ispirandoti ad un evento anziché ad un suono?

Nel dicembre del 1968 tornai per la prima volta a Vienna, con i miei tre bambini, che lasciai dai miei genitori, mentre io e mia moglie dormimmo in albergo. Nevicava e la sensazione di essere ritornato a casa, m'ispirò il brano che scrissi di getto, in due minuti, In a silent way, senza il pianoforte, né la carta da musica. Avevo in testa il suono che questo brano doveva avere, un suono immaginario. Il fatto di disporre sempre di nuovi suoni amplia la possibilità di creazione.

Nelle tue composizioni quanto c'è di improvvisazione e quanto di struttura?

L'improvvisazione copre un ruolo molto importante. La struttura armonica, melodica e ritmica, nasce sempre dall'improvvisazione. Io non sono una persona religiosa, però credo che se ti è stato dato un dono, ne devi approfittare. Quando suono con altri musicisti, subentra il problema di dare ad ognuno un proprio spazio di espressione, per cui in una registrazione, il 75% è strutturato e scritto, gli assoli no.

Nella tua musica c'è ispirazione, ma anche esperienza di vita e tanto studio. Un giovane musicista come deve agire per ottenere buoni risultati?

C'è l'ispirazione, ma non solo. Ho quasi sessant'anni ed è da una vita che giro il mondo. Mi ritengo molto fortunato di aver avuto queste esperienze. Se uno mantiene le orecchie e gli occhi aperti, queste esperienze si assorbono e possono essere preziose.

Il jazz come tutte le musiche, quando è suonato bene è splendido. Però l'arte è qualcosa che va al di là ed è uguale in tutti i generi musicali. C'è un salto di qualità che è come un salto nel buio: poco codificabile, poco razionale, poco analizzabile. Esiste secondo te un qualcosa che trasforma un buon assolo in un'esecuzione artistica? E se esiste, ce lo puoi descrivere?

L'unica cosa che vi posso suggerire è di essere rilassati. La gravità deve avere il sopravvento; l'ombelico deve cadere giù e non ci deve essere nessun tipo di tensione muscolare. Io ho avuto la grande fortuna di suonare con moltissimi musicisti, da Ben Webster a Cannon Ball Adderly, a Miles Davis, che avevano in comune l'essere rilassati; un rilassamento interiore. Come si ottiene? Dipende. Dom Um Romao faceva yoga, Wayne Shorter era buddista, io uso la grappa, ma questo non vuol dire. L'importante è riuscire a raggiungere una calma interiore e istintivamente far tesoro dell'esperienza precedente. La differenza tra l'essere calmi e essere "mosci" è veramente sottile. Quando vado in tournée viaggio tutto il giorno in macchina e poi alla sera devo suonare. A volte è successo che, veramente stanco ho suonato meglio. La stanchezza ha preso il sopravvento sull'eventuale nervosismo, per cui il corpo si è automaticamente rilassato e, malgrado la spossatezza, ho prodotto le esecuzioni migliori. Essere calmi, sì, ma con il cervello in attività.

Il problema di essere sintetisti negli anni '90, è nel pensiero, nell'azione cerebrale che richiedono questi strumenti per diventare maestri. Tu hai avuto questo set-up di tastiere per diverso tempo e ciò ti ha dato la possibilità di creare un rapporto con gli strumenti molto più profondo di quanto normalmente accada al tipo di musicista sempre preoccupato di comprare un nuovo modello di sintetizzatore. È talmente preso da ciò che non riesce a instaurare con lo strumento un rapporto simile a quello dei musicisti, che suonano strumenti acustici. Che ne pensi?

Io ho il T8 da più di otto anni. Ci sono cose che ancora non ho scoperto. Non è necessario comprare sempre l'ultimo tipo di sintetizzatore, anche perché ci sono suoni che hanno tutti gli altri. È molto meglio sviluppare un rapporto intimo con gli strumenti che uno ha. Penso che le tastiere analogiche siano più umane di quelle digitali, hanno un loro particolare respiro. Se vi capita di trovare vecchi sintetizzatori analogici, prendeteli, perché stanno per sparire e diventeranno, prima o poi, come i dinosauri!

Perché non usi più il Fender Rhodes?

Per un problema tecnico. Quando suoni forte, robusto, sulla tastiera, ogni sera dovresti riaccordare le barrettine e ciò è scomodo. Il signor Rhodes ora ha messo sul mercato un nuovo piano elettrico digitale, distribuito dalla Roland, che non ha questi problemi. Però a differenza del Rhodes originale, che aveva un suono robusto per tutta l'estensione, quando si suona nella parte alta della tastiera con il digitale, il suono è troppo sottile. Rhodes me ne ha dato uno perché io ci lavori e gli dia dei suggerimenti.

Per te non sarebbe più comodo avere un minor numero di tastiere controller e avere tutto su rack?

A me servono almeno quattro controller per creare il tipo di musica che faccio. Dal vivo suono in tempo reale e non ho la possibilità di cambiare il suono da una macchina all'altra, per cui preferisco avere un bel suono fermo, lì, su una tastiera e non dover fare il Program change. Le mie tastiere trasmettono e ricevono tutte su un unico canale Midi e uso i pedali del volume per fare dei mix tra loro; tutto in tempo reale. Potrei suonare contemporaneamente su una tastiera, tutti i suoni delle altre tastiere e degli expander. Un'alternativa potrebbe essere un computer che inviasse tutti i Program change memorizzati alle diverse macchine, nello stesso momento, ma così sarei troppo legato al computer; quindi preferisco avere più tastiere e far tutto in tempo reale, seguendo l'istinto. Dal Midi patch bay che mi ha costruito Jim Swanson posso accendere o spengere i miei sintetizzatori.


Il set-up di Zawinul
1. Korg M1 - 2. Korg DW8000 - 3. Oberheim expander - 4. Arp sequencer - 5. Prophet T8 - 6. Midi patch bay - 7. Korg 707 - 8. Korg DSS1 - 9. Rhodes Chroma expander - 10. Korg DDD1 - 11. Alesis HR16


I rack
1. Midi Merge - 2. Korg Vocoder - 3. Korg Vocoder - 4. Korg M1R - 5. Korg A3 - 6. Korg A3 - 7. Korg DSM1 - 8. Korg DSM1

Perché hai scelto di usare nella tua musica il Vocoder?

Il Vocoder è la mia arma e mi dà la possibilità di esprimermi, di usare la voce e il corpo per suonare delle melodie. Mi piacerebbe cantare: Dio non mi ha dato il dono di una bella voce, ma con il Vocoder posso farlo.

Usi il sequencer?

Dal vivo non uso il sequencer, anche se ne ho uno vecchissimo dell'Arp, un arpeggiatore. A casa ho un computer Atari che uso solo per registrare le mie esecuzioni, i miei concerti, per risentirli e ricreare alcuni parti che mi interessano; come se fosse un registratore.

Parlaci del Korg Pepe.

Pepe è il mio nome, Joe. La fisarmonica è stato il mio primo strumento; ho una certa abilità tecnica nel suonare la tastiera verticalmente, che è una tecnica migliore. Nel mio ultimo album ho utilizzato la fisarmonica che avevo da piccolo; ma dal vivo non la posso usare perché è problematico amplificarla, con i microfoni che capterebbero anche il rumore delle mani. Una decina di anni fa pensai che si potesse inventare uno strumento che avesse i bottoni come la fisarmonica e che rendesse possibile controllare con il fiato l'attacco e il volume delle note. Il più grande saxofonista con cui ho suonato è stato Wayne Shorter; da quando non siamo insieme, ho avuto il desiderio di suonare uno strumento a fiato, senza assumere un altro musicista. Circa una decina di anni fa presentai il progetto del Pepe alla Korg, in Giappone, che mi prospettò quanto sarebbe stato costoso e problematico fabbricarlo. Infatti al mondo c'è un solo Korg Pepe, il mio. Il primo problema che incontrarono fu il buon funzionamento dei bottoni. Io suggerii di usare quelli della batteria elettronica. La Korg mi spediva continuamente dei prototipi. Ci vollero circa tre anni prima che riuscissero a trovare uno strumento che mi soddisfacesse in pieno. Con il Pepe, posso assegnare note differenti, a prescindere dall'intervallo; posso fare un assolo con un unico tasto che, essendo sensibile alla pressione, emette note diverse: è tutto completamente programmabile; in un solo tasto si possono avere fino a sei note diverse. Il Pepe ha un'estensione di tre ottave ed è polifonico. Non ha suoni interni, è un semplice controller Midi, che può essere interfacciato con le altre tastiere.


Zawinul e il Pepe

Che rapporto hai con i tuoi musicisti?

Io ho la mia famiglia, ma considero i miei musicisti un'altra famiglia; tra l'altro, ho lo studio in casa per cui i miei musicisti sono sempre con me, mangiano con me, giochiamo a scacchi e viaggiamo insieme. Questo è molto importante per consolidare il nostro legame. Non è un rapporto limitato alla musica; con loro parlo di tutto. Se non ci fosse comunicazione non potrebbe funzionare.

Come avvenne l'incontro con Jaco Pastorius?

Eravamo a Miami con il gruppo e non avevamo un buon batterista. Il trombonista Slide Hampton ce ne consigliò uno africano che stava a Monaco, a suo parere, molto valido. Lo contattai e lo feci venire in America. Mentre stava volando da noi, il mio manager mi parlò di questo batterista algerino, che viveva da 11 anni in Svizzera. La cosa mi preoccupò; un batterista africano che vive da 11 anni in Svizzera non può suonare! Lui arrivò, cominciò a suonare e non mi convinse affatto. Ero molto nervoso e alla fine del concerto, si presentò un tipo con gli occhialetti, un po' strano, che mi disse: "Signor Zawinul, io potrei aiutarla a creare una band migliore. Sono Jaco Francis Pastorius III e sono il più grande bassista del mondo! ". Io, già nervoso gli dissi di andarsene; era presente una giornalista che mi parlò di lui come di un grande musicista. Il giorno dopo, in albergo, si ripresentò con il fratello e alcuni nastri che ascoltai. Il resto è storia, sapete tutti come è andata! Jaco all'inizio era un ragazzo tutto casa e chiesa, molto religioso, e non toccava alcolici. Un giorno, eravamo a casa mia con Shorter e Peter Erskine, e nell'attendere Jaco, stavamo provando il brano Brown Street. Ma lui non arrivò perché nel frattempo era stato arrestato per eccesso di velocità; tenni quella registrazione di prova senza Jaco per l'album 8:30, aggiungendo una mia linea di basso fatta con l'Arp Quadra. Anche dal vivo suonammo il brano senza di lui, che scherzosamente mi diceva che gli avevo rubato la parte; siccome lui voleva comunque suonare qualcosa gli proposi le percussioni! Jaco era incredibile; con la mano prendeva una tredicesima; poteva afferrare una palla da basket con una sola mano e aveva un pollice pensile che nel suonare gli accordi, lo aiutava molto. Era un atleta fenomenale. Studiava tantissimo il suo strumento e poteva suonare linee velocissime a lungo, senza mai stancarsi; non ho mai visto nessuno capace di fare altrettanto.


Jaco Pastorius

Perché fu licenziato?

Pastorius non fu mai licenziato dal gruppo. Lui chiese soltanto di avere un anno di aspettativa per sviluppare il suo album, e la tournée di Word of mouth. Dopo un anno, avevamo assunto Victor Bailey, visto che nel frattempo per Jaco, si erano creati dei problemi, diciamo di salute. Poco prima che morisse pensammo di riunirci, ma purtroppo non facemmo in tempo.

Conclusioni

Vorrei concludere questo mio tributo al grande Joe Zawinul, l'alchimista dei suoni, con una sua frase che disse agli inizi dell'avventura con i Weather Report: "Questa musica è una colonna sonora per la vostra mente e la vostra immaginazione; speriamo possa servire a farvi felici, facendovi pensare".

Per me è stato così. La musica di Zawinul e dei Weather Report, una musica senza frontiere, mi ha fatto felice, mi ha fatto sognare, mi ha regalato brividi d'emozione, mi ha accompagnato, mi accompagna e mi accompagnerà per tutta la vita! Quindi, anche a nome dei tantissimi appassionati come me, non posso che ringraziare Joe Zawinul per tutto questo.

Grazie, grande Joe!


Joe Zawinul con Fabio Di Biagio

Fabio Di Biagio

Ringraziamenti:
Ivan Zawinul
Giovanni Tommaso
Dom Um Romao
Carlo Serafini
Marco Piretti
Antonella Carbone

 
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