www.zawinulfans.org
|
AVVISO IMPORTANTE
CANTA
IL CORPO ELETTRICO Tratto
dall'articolo pubblicato su
IL
JAZZ A UN PASSO DAL FUTURO È
una questione di formule. Come la Settimana Enigmistica, o
la Coca Cola, ci sono cose che non possono essere replicate
perché non se ne conosce l'intima struttura, quel
segreto, di solito ben conservato, che rende sempre
l'originale migliore della copia. La musica dei Weather
Report appartiene a quell'esclusivo catalogo di capolavori
che, pur vantando innumerevoli tentativi di imitazione,
resistono (anche all'usura del tempo) in virtù di una
irraggiungibile, alchemica disposizione ad anticipare il
proprio tempo. Opere postume, le avrebbe chiamate
Wittgenstein. Ma
non è il caso di scomodare un grande filosofo. O
forse sì, perché lo stesso Wittgestein una
volta operò una distinzione (di chirurgica
precisione) tra chi è scrittore e chi, invece,
è creatore di linguaggio (Sprachschopfer). Ecco,
nell'analizzare l'arte eventuale e fragile del Bollettino
Meteorologico, sottoposta agli incredibili traumi che ogni
nuovo linguaggio deve sopportare, non è inutile
assumere come punto di partenza il dato, apparentemente
così ingenuo (capace, però, di far storcere il
naso a più di una generazione di critici), che siamo
di fronte a un'impresa colossale e problematica: quella di
sintetizzare, in un nuovo e articolatissimo paradigma, uno
sterminato insieme di codici e espressioni
stilistico-formali; un'operazione rischiosa, degna
però di chi non si limita a collezionare
entomologicamente insetti linguistici rinsecchiti, di chi
non si limita ad accumulare materiale collocandolo in un
calderone dall'imprecisa e opaca ragione d'essere: in una
parola, degna di uno Sprachschopfer. Nell'arco
temporale in cui si è sviluppato il loro discorso
musicale, i Weather Report, con le difficoltà e gli
intoppi del caso, hanno proceduto a sviluppare quegli
elementi in un linguaggio ulteriore, pienamente autonomo, la
cui quota di innovazione non è stata l'essere un
registro possibile dei dialetti musicali del mondo,
catalogati e schedati asetticamente, quanto la
capacità di tradurli in un nuovo sistema di
significati. Ancora
oggi, a trent'anni dalla fondazione, e quindici dallo
scioglimento, basta un niente perché la rete sia
percorsa da ansie e fremiti: una notizia non verificata,
l'annuncio di un disco di inediti dei Weather Report, e le
mailing list si arrotolano su se stesse replicando
all'infinito richieste di informazioni. Di solito, non
c'è nessun disco all'orizzonte (per quanto lo stesso
Zawinul, il "grande vecchio", ne abbia più volte
lasciato intravedere l'imminente realizzazione), ma il
grande interesse che tuttora smuove un esercito di fedeli
appassionati è l'evidente segno di una presenza
ancora viva nell'immaginario sonoro dei nostri tempi. Che i
Weather Report, peraltro, hanno contribuito in maniera
decisiva a delineare, in virtù di un lascito musicale
che costituendosi come virtuale giacimento dal quale
attingere colori, sapori, sfumature e tinte, è
entrato nella globalizzazione dei segni musicali del nostro
tempo grazie a un'infinita serie di travasi e imprestiti
stilistici. Dunque,
è ancora bel tempo per il Bollettino Meteorologico; e
se la pubblicazione di inediti viene puntualmente rimandata
il trentennale della fondazione della band (era il dicembre
1970) impone una riflessione su questo enorme campionario di
invenzioni, sul senso ultimo di una scommessa vinta con un
formidabile lancio di dadi, su un pensiero che esplicita il
senso di una musica creata sul sottile gioco delle
suggestioni, sensibile al rischio e ai gesti inattesi,
continuamente alla ricerca di confini mobili e di limiti da
oltrepassare, e che si situa, con un rigore pari a certa
infantile follia, in quell'incrocio nevralgico nel quale
convergono jazz, musica contemporanea e musiche del mondo,
tracciando l'itinerario dei segni sonori del nostro
tempo. Il
corpo elettrico "I
sing the body electric, / The armies of those I love engirth
me and I engirth them, / They will not let me off till I go
with them, respond to them, / And discorrupt them, and
charge them full with the charge of the / soul". Walt
Whitman, Leaves of Grass Correvano
gli anni, e forse non sapevano dove andare. Gli anni '70,
poi, per il jazz furono tempi duri: sfumata la
centralità stilistica dei grandi maestri, frammentato
e lacerato il tessuto estetico-sociale sul quale si andavano
costituendo nuovi orizzonti espressivi, le uniche
alternative possibili al mainstream dilagante, a uno
strisciante revisionismo (e a una certa pochezza
progettuale) sembravano essere le ricerche violente
dell'avanguardia, ormai consapevole e intellettualizzata.
Oppure le criticatissime e inusitate aperture al mondo del
rock di sua maestà Miles Davis, artefice di uno
stravolgimento linguistico che avrebbe avuto durature
conseguenze sul mondo del jazz. E questo fu il campo dal
quale, in definitiva, si ottenne il raccolto più
ricco: dal magmatico e sciamanico laboratorio davisiano,
infatti, uscirono con idee luminose molti dei futuri
protagonisti dell'epopea jazz-rock. Tra questi, Joseph
Zawinul (Vienna, 1932) e Wayne Shorter (Newark, NJ, 1933) i
quali, unendosi in ditta sotto la fortunata denominazione di
Weather Report (bollettino meteorologico), riuscirono
davvero ad annusare l'aria che tirava. Le
loro precedenti esperienze musicali avevano un comun
denominatore: il soul jazz. Sorta di musica degenerata, a
sentire i critici dell'epoca, questo prezioso dizionario
stilistico aveva ristabilito un paradigma fondamentale nel
complesso equilibrio della cultura, e della comunità,
afroamericana: il coinvolgimento del corpo, l'assunzione del
corpo sociale non più visto come mera interfaccia
estetica, quanto come polo di coinvolgimento fisico ed
emotivo. Il jazz stava perdendo spontaneità,
infilandosi nei vicoli ciechi di un intellettualismo la cui
spinta si era come dissolta nel volgere di un decennio.
Bisognava, allora, ridurre le distanze col popolo
afroamericano, restituire al jazz una presa sul presente:
semplificare per progredire. Il soul jazz portò a
termine esattamente questo impegnativo progetto, recuperando
dalla tradizione della musica afroamericana il patrimonio di
visceralità e gioia pagana che, qualche anno
più tardi, avrebbe trovato ulteriore sistemazione
stilistica addirittura nel free jazz. Ma il soul jazz, pur
nella sua piena individualità jazzistica, era musica
pensata, costruita ed eseguita per inebriare e inebriarsi,
danzare e partecipare, e le sue coordinate stilistiche
furono segnate dal recupero della dimensione ritualistica,
dallo sciogliere i nodi di un intellettualismo ormai
astratto, dalla pulsazione danzante e danzereccia, dalla
riassunzione di una sfera partecipativa. Il
soul jazz, dunque, dava voce, corpo, movimento e sudore a
quel complesso gioco di richiami a elementi fondamentali
della negritudine, traducendoli in un sistema di codici
stilistici eterogeneo e trascinante, attraverso il quale
stabilire connessioni con il rhythm&blues per ottenere
una geniale quadratura del cerchio. Cannonball Adderley
seppe, negli anni Sessanta, sviluppare alcuni assunti del
soul jazz avvalendosi della preziosissima collaborazione di
Joseph Zawinul, fondando una nuova simbolica del jazz. Il
suono del piano elettrico, il beat pigro e regolare, il
visionario timbro del suo sax, gli consentirono di creare un
modello certo di riferimento per gli anni a venire. "Mercy,
Mercy, Mercy", e ancor di più "Country Preacher",
ascoltate oggi hanno l'aria di folgoranti premonizioni.
Il
soul jazz restituì al corpo una musica da
ballare. Tempi
duri Heavy
Weather, pubblicato con enorme successo nel 1977,
rappresenta, meglio di ogni altra opera targata Weather
Report, il laboratorio privilegiato nel quale osservare
tecniche e procedimenti destinati a diventare, di lì
a poco, il ricettario fondamentale della fusion music.
Intanto, il timbro. Zawinul ha più volte dichiarato
che ogni sua composizione nasce non tanto da un'idea quanto
da un suono, e la successiva formalizzazione è la
pura e semplice trascrizione su carta del materiale
improvvisato e registrato. Vero, ma in parte. Prendiamo
Birdland, celeberrima hit della band. Il nucleo originario
del brano non è il ritornello, quanto il primo tema,
che Zawinul inizia a proporre dal vivo sin dal maggio '76
(un mese dopo aver ufficialmente assunto Pastorius, e due
prima di entrare in studio per registrare l'album) inserito
in un contesto affatto diverso. La segmentazione melodica,
in quello stadio intermedio, ricorda più le
precedenti prove, piuttosto che indicare un nuovo
itinerario. In quei due mesi, evidentemente, l'elaborazione
formale prese il sopravvento sull'istinto timbrico, e la
versione definitiva dimostra quanto sottile e "pensato"
fosse il tiro strategico. A volerlo fischiettare, il
ritornello sembra una filastrocca, ti entra nel cervello e
non ne vuole più uscire: per questo è stata
usata per sonorizzare un celebre spot che raccontava la
"Milano da bere": una melodia universale in grado di coprire
uno spazio virtuale che va dai Manhattan Transfer al sax
mellifluo di Fausto Papetti. Ma che, a guardarla da vicino,
rivela strutture formali innovative, procedure armoniche
coraggiose: un'idea di musica ad un passo dal futuro.
Attorno al ritornello, infatti, si snoda una struttura
formale estremamente complessa: addirittura sei temi, il cui
collante è un solidissmo rapporto tra le varie
componenti, che da figura in una sezione si trasformano in
sfondo nella successiva (quasi a voler mimare un teatrale
gioco di quinte mobili). Birdland,
dunque, è un esempio chiarissimo di come i WR
avessero abbandonato sia le lunghe e ipnotiche
improvvisazioni di stampo modale, sia la pratica consueta
dell'"esposizione del tema-improvvisazione a turno dei
solisti-riesposizione finale del tema", per esplorare un
territorio fertilissimo in cui la forma del brano allude
all'universo chiuso della canzone, stravolgendolo
però dall'interno. In altre parole, costruito uno
schema di immediata riconoscibilità, grazie
all'apparizione regolare del ritornello, orecchiabile e
coinvolgente, Zawinul e soci lo smembrano in maniera quasi
impercettibile. A
Remark You Made, poi, è il prototipo della fusion
ballad: in essa compaiono, per la prima volta, melodie
all'unisono sax-basso (così tipiche della fusion
successiva), eppure non è facile accorgersi di come
tutto il brano sia basato su una sola, lunghissima e sinuosa
linea melodica (degna del miglior Bellini), intima e quasi
sussurrata, con spazi di improvvisazione limitati a una
breve sezione conclusiva prima della ricapitolazione finale.
Le due composizioni di Shorter, Harlequin e Palladium, ne
mostrano, la prima, il lato apollineo, in un gioco di
chiaroscuri armonici, di modulazioni improvvise, di note
sparse, mentre la seconda, basata su di un'intuizione
melodica di sconcertante semplicità, acuisce il lato
dionisiaco, con l'orgiastica riproposizione finale del
ritornello in cui basso, batteria e percussioni
(moltiplicati dsa numerose sovraincisioni) si stratificano
in un pazzesco gioco di incastri, con tanto di steel drums
suonate da Pastorius. Paradossalmente, dunque, in "Heavy
Weather" c'è pochissima improvvisazione, un richiamo
continuo alla fisicità e alla propulsione ritmica
della musica nera di consumo, l'opzione su scelte melodiche
accattivanti. Eppure, questo è un disco intimamente
jazzistico, che si richiama alla lezione di Duke Ellington:
per la sapienza degli impasti timbrici, per il lavoro sulla
forma, per l'idea di contaminazione, per il tentativo di
restituire al jazz una presa sulla realtà, "Heavy
Weather" costituisce un momento dopo il quale il jazz non
sarà più lo stesso. Probabilmente,
anche la musica dei Weather Report non sarà
più la stessa, sin da quel fulminante capolavoro.
Eppure, il progetto essenziale era stato elaborato e
realizzato: restituire alla musica un corpo da
ballare. FUORI
I DISCHI Weather
Report (CBS 1971) Registrato in quattro giorni, senza
che la band avesse mai suonato dal vivo, in termini musicali
è un azzardo ben calcolato: le idee di Miles Davis
vengono filtrate attraverso una poetica del colore, in cui
la ricerca timbrica assume valenza fondamentale.
L'introduzione di "Milky Way", apparentemente suonata da una
tastiera elettronica, è invece ottenuta con un
normale pianoforte. I
Sing the Body Electric (CBS 1972) Eric Gravatt
sostituisce Alphonze Mouzon, Dom Um Romao prende il posto di
Airto Moreira, e il suono WR si fa ancora più
rarefatto. Compaiono strumenti inusitati, come la chitarra a
12 corde di Ralph Towner in "The Moors", il corno inglese di
Andrew White, il flauto di Hubert Laws, altro ospite
eccellente, e inizia l'infinita ricerca sotterranea sulla
vocalità, cui, in questo disco, prestano il loro
apporto Yolanda Bavan, Joshie Armstrong e i Chapman Roberts
Singers. Zawinul sperimenta ogni possibile approccio con il
proprio strumentario, trasformando il pianoforte in una
immensa tavolozza timbrica, come in "Surucucu", in cui il
pianista austriaco mette a contatto delle corde ogni sorta
di oggetti, in un vero e proprio piano preparato. La seconda
facciata dell'album, registrata dal vivo in Giappone,
testimonia l'enorme energia che il gruppo riesce ad
esprimere; la prima, invece, scava nella direzione
dell'album precedente, con l'aggiunta di una maggiore
attenzione alla complessità strutturale. Sweetnighter
(CBS 1973) Da quest'album in poi, i WR riscoprono
gradualmente l'importanza della mobilità armonica, e
lentamente si scrollano di dosso l'immagine di
staticità, che pure avevano scelto autonomamente,
combinando e differenziando percentualmente le dosi di
ritmo, armonia e timbro in quell'alchemica mistura che a
grandi passi s'incamminava verso la contaminazione di forme
e generi. Ma, soprattutto, è il disco che segna
l'inizio di una fase dominata dal groove, dalle tessiture
ritmiche. Opera
rivoluzionaria e ipnotica, assetata di ritmo, "Sweetnighter"
rinuncia all'equilibrio e alla coerenza interna del progetto
per esplorare il sottile rapporto tra figura e sfondo, in
un'orgia ritmica che ispirerà, quindici anni dopo,
gli hip hoppers più radicali. Mysterious
Traveller (CBS 1974) Segna la grande svolta nella
traiettoria artistica della band. La propulsione ritmica
(amplificata, talvolta, dall'uso di due batteristi, Skip
Hadden e Ishmael Wilburn, e dal basso infallibile di
Alphonso Johnson) viene messa al servizio di una più
netta propensione allo sviluppo tematico per brevi riff, che
si stagliano su un materiale armonico apparentemente
statico; ma il recupero della modalità e di un certo
aplomb pentatonico apre la strada alla realizzazione di un
inedito incrocio tra ritmi danzanti e dissoluzione della
forma jazzisticamente intesa. Il funky di "Cucumber
Slumber", la poesia etnica di "Jungle Book", e l'incedere
mesmerico di "Nubian Sundance" sono schegge di futuro in un
disco imperdibile. Tale
Spinnin' (CBS 1975) Variabile come il tempo, la musica
del Bollettino Meteorologico vira verso la ridefinizione
delle aree d'espressione intrapresa dal gruppo: ancora cambi
d'atmosfera guidati dal timbro, ma il ritmo non conosce
più slittamenti, la scansione diventa binaria,
rappresentando il filo rosso sul quale dipanare il continuum
sonoro, il cui dizionario si impreziosisce di sempre
più numerosi lemmi e pronunce etniche. Eppure,
l'elemento di maggiore novità è rappresentato
dall'adozione di schemi formali che rimandano alla
forma-canzone, e la creazione di melodie semplici e
immediate: le si potrebbe fischiettare
Black
Market (CBS 1976) Le fitte trame ritmiche architettate
da Zawinul mettono a dura prova la resistenza dei musicisti.
Leon Ndugu Chandler e il percussionista brasiliano Alyrio
Lima cedono il posto (dopo aver rilevato l'ex Sly and Family
Stone Greg Errico, Ishmael Wilburn, inadatto ai grandi
concerti, e Daryl Brown, secondo batterista dal vivo)
all'eclettico Alejandro Acuna, e a Chester Thompson, che si
era fatto le ossa suonando le intricate partiture di Frank
Zappa. E' la prima, grande sezione ritmica targata WR.
D'improvviso, tutte le tessere sembrano trovare naturalmente
il proprio posto nel mosaico policromatico immaginato dalle
tastiere di Zawinul e dall'etereo, ellittico, linguaggio di
Shorter. Niente sembra poter fermare questa formidabile
macchina da guerra: neanche l'abbandono, nel bel mezzo della
registrazione dell'album, di Alphonso Johnson, in procinto
di mettere in piedi una band con George Duke e Billy Cobham.
Anzi, è l'inizio della vera e propria rivoluzione:
per l'incisione di "Cannon Ball", dedicata all'amico
scomparso poco tempo prima, Zawinul convoca un giovane e
sconosciuto bassista, Jaco Pastorius. Il resto è
storia. Heavy
Wheather (CBS 1977) Si materializza con la stessa forza
di un marziano caduto sulla Terra: non più lunghe
improvvisazioni su pedale, ma composizioni strutturate in
cui la forma stessa viene sottoposta a micidiali
elaborazioni; la componente ritmica esaltata dalle possenti
linee bassistiche di Pastorius, intrise di R&B e funky,
allude con lucidità alla black music; il suono della
band sa essere complesso e immediato allo stesso tempo; i
temi, facili ma non semplici, vivono una prospettiva
melodica inedita. I WR trovano la quadratura del cerchio,
fondendo in un contenitore a mille facce le anime stesse di
quella musica che, da quel momento in poi, avrebbe chiamato
fusion. Contribuisce alla creazione di questo assoluto
capolavoro l'estro di Acuna, spostato, con grande
intuizione, alla batteria, e la frenetica fantasia
coloristica del giovane percussionista Manolo Badrena.
Mr.
Gone (CBS 1978) E' il segno di una profonda transizione:
mai come dai solchi di questo album la centralità di
Zawinul emerge così chiaramente; la musica ruota
attorno a strati di sintetizzatori, senza che attorno ad
essi ci sia un organico stabile, quasi che ogni brano
richieda l'apporto di musicisti diversi. Dal magma sonoro,
però, scaturiscono idee affascinanti, come quella di
unire il groove della disco music alla mescolanza timbrica
basso fretless/synt Oberheim per le linee di basso in "River
People", e il primo vero confronto con la forma canzone
nella splendida "And Then" (musica di Zawinul su testo di
Sam Guest), affidata a Maurice White e Deniece Williams: il
cerchio è chiuso, la rivoluzione
completata. 8:30
(CBS 1979) Registrato in gran parte dal vivo, l'album
è la straordinaria testimonianza di una band allo
zenith delle proprie potenzialità tecnico-espressive.
Un quartetto, con Peter Erskine alla batteria, già
lungamente rodato nel corso del "Mr. Gone" tour, che governa
con disarmante efficacia spettacolarità e interplay.
L'ultima facciata, nell'originale edizione di doppio Lp,
è registrata in studio, con materiale che sembra
ricollegarsi al recente passato della band. Night
Passage (CBS 1980) Forse non era soltanto un caso la
presenza, nell'album precedente, di una versione di
"Pinocchio", che Shorter scrisse quando militava nel
quintetto stellare di Miles Davis. Il ritorno al jazz, allo
swing come pura forma di comunicazione ritmica, connota
questo ennesimo capolavoro, caratterizzato non soltanto da
nuove e inquietanti escursioni all'interno del mondo
melodico-timbrico (dimensioni virtualmente inscindibili) del
pianista austriaco, quanto da una nervosissima rivisitazione
del repertorio ellingtoniano ("Rockin' in Rhythm"),
formidabili esplosioni di virtuosismo ("Fast City"), oltre a
un piccolo gioiello firmato Pastorius ("Three Views of a
Secret"). Weather
Report (CBS 1982) Non è chiara la ragione che
spinse ad intitolare questo album come il disco d'esordio.
Altrettanto oscura è la flessione creativa del
gruppo, che si spalma su un materiale che brilla poco, e
solo per illuminazioni fugaci. Per il quintetto con Erskine,
Pastorius e il percussionista Bobby Thomas jr., è il
canto del cigno: i tre lasceranno la band nell'estate
dell'81, dopo l'ennesimo massacrante tour, e registrano
l'album per assolvere a obblighi contrattuali. Tutto
è, di nuovo, nelle mani di Zawinul, che firma tutti i
pezzi (tranne uno, "When it Was Now", prodromico dei futuri
lavori solistici di Shorter). Procession
(1983) Una band nuova di zecca marca un ennesimo, nuovo
capitolo per il Bollettino Meteorologico. Scommettendo sul
freschissimo talento dei giovani Omar Hakim, Victor Bailey e
Jose Rossy, Zawinul e Shorter riscoprono la voglia di
suonare e stupire. Per quanto troppo superficialmente
sottovalutato, questo è un disco intenso, che per
qualità del materiale composto non è certo
inferiore alle precedenti prove della band. E nonostante
Bailey non abbia le mirabolanti capacità tecniche di
Pastorius, e Hakim sia un batterista più muscolare e
groove-oriented di Erskine, la musica dei WR si cristallizza
attorno ad una ritrovata felicità espressiva, ad una
rinnovata capacità di miscelare suoni e saperi
provenienti da mezzo mondo. Indimenticabile la shorteriana
"Plaza Real", impreziosita da uno dei migliori soli di
Zawinul, e il cameo che i Manhattan Transfer, reduci dal
successo della cover di "Birdland", regalano in "Where the
Moon Goes". Domino
Theory (CBS 1984) Forse un passo indietro nella
ridefinizione della rotta, nonostante i possenti ritmi
funky, la splendida "Can it be done", cantata con classe da
Carl Anderson, e la massiccia spinta propulsiva del groove.
Zawinul rompe il fiato, e si lancia in spericolate corse nei
territori modali che rappresentano, ormai, come in una sorta
di traiettoria ad arco, un ritorno alle origini; ma, in
questo caso, l'attenzione ai problemi formali rivela
l'ennesimo paesaggio interiore del pianista austriaco: "D
flat Waltz" è un piccolo capolavoro di sapienza
architettonico-ritmica. Nella foresta sonora si affacciano i
primi timbri interamente digitali. Sportin'
Life (CBS 1985) Vive di una tavolozza cromatica
affascinante: l'uso delle voci, spesso impegnate a disegnare
melodie senza parole (tra gli ospiti: Carl Anderson e Bobby
McFerrin), i colori sintetici delle macchine, e il suono di
Shorter, ridotto però a pura risorsa timbrica.
L'euforia ritmica, lo slancio eufonico, i sapori etnici,
forse, tradiscono un calo di creatività, e mettono in
luce come l'orizzonte zawinuliano vada assottigliandosi,
arrotolandosi capricciosamente sulla stessa linea. La musica
mostra segni di stanchezza, è esausta, ma non
è ancora l'ultima possibile. This
is This (CBS 1986) Anche gli addii sono una questione di
stile: nel retrocopertina Zawinul e Shorter si stringono la
mano, e sulla busta interna vengono raffigurati tutti i
musicisti che hanno suonato nei quindici anni del Bollettino
Meteorologico. E', dal punto di vista musicale,
un'anticipazione di quanto Zawinul, ormai unico leader della
band, avrebbe sperimentato di lì a poco con il
Syndicate: e non è un caso che quattro mesi dopo
viene pubblicato Dialects (CBS), nel quale Zawinul precisa i
termini di una ricerca indirizzata verso un ecumenismo
musicale, che prende, sminuzza e mescola idee, lingue e,
appunto, dialetti, provenienti dai quattro angoli del globo
per creare, dal nulla, una geografia immaginaria. SE
IL TRIBUTO È CONTRIBUTO Realizzare
un tributo alla musica di Zawinul e soci è impresa
complessa, con mille variabili in gioco da tenere
costantemente sotto controllo. A tale cimento, l'olandese
Michiel Borstlap e l'americano Jason Miles, pianisti, si
sono avvicinati da punti di vista, e approcci poetici,
totalmente differenti: l'uno giocando sulle nuances
acustiche, l'altro invertendo le polarità ritmiche e
enfatizzando il dettato melodico. Ma
tradurre è un po' tradire, e dunque il merito di
questi due album, pur nella loro diversità, è
quello di indagare tra le pieghe di opere virtualmente
perfette; e il tradimento, a volte, innesca vertiginosi
cortocircuiti. A
loro abbiamo chiesto di raccontarci in che modo hanno
raccolto la sfida. Una
domanda preliminare: perché un tributo alla musica
dei Weather Report? Michiel
Borstlap: Quando ascoltai per la prima volta la musica dei
WR fu una specie di rivelazione, la scoperta di una musica
totale. Aveva un ritmo speciale, armonie incredibili
combinate a melodie mozzafiato, e si sentiva dappertutto,
nei club, nei festival. Questa musica in "3D" fu la ragione
per la quale decisi di fare il musicista Jason
Miles: La musica dei WR è una miscela purissima di
jazz, funk e world music, e ognuno di questi ingredienti
è esplorato in profondità, com'è
evidente in molti brani, da "Cucumber Slumber" a "Jungle
Book", da "Night Passage" a "Elegant People". Il mio
rapporto con la loro produzione è iniziato trent'anni
fa, all'epoca dell'uscita del loro primo disco: più
lo ascoltavo, più sentivo che stava succedendo
qualcosa di realmente nuovo. Speravo soltanto che
continuasse, e così è stato per almeno
quindici anni. Una musica che non aveva confini, suonata da
veri capiscuola. Devo a quella musica l'essere diventato un
musicista, e ho cercato di rimanere fedele alla loro idea di
contaminazione. Quali
sono stati i problemi da risolvere nel suonare la musica dei
WR, e quali le idee di base che vi hanno guidato nella
realizzazione dell'album? JM:
Quando ho deciso di realizzare un disco con musiche dei WR
in molti mi hanno dato del pazzo. In realtà,
consapevole delle difficoltà di tale progetto, ho
semplicemente voluto rendere omaggio ad una delle migliori
band di tutti i tempi. L'idea di base è stata quella,
da un lato, di fare in modo che le melodie fossero ben
evidenti in ogni pezzo; dall'altro, di comunicare alla gente
come sarebbe stata questa musica nel nuovo millennio. Non ho
cercato di essere come loro, ma di farli conoscere ad un
nuovo pubblico e di ravvivare i ricordi dei loro fans di
lunga data. Inoltre,
ho voluto porre l'accento sui grooves nella loro musica. Ho
pensato che fosse una buona idea presentare ognuno dei pezzi
con un groove solido, dato che oggi ci sono molti più
formati ritmici a disposizione. Per la scelta dei pezzi, ho
ascoltato almeno tre volte tutti gli album dei WR, e ho
scelto i brani che mi piacevano di più e che allo
stesso tempo fossero rappresentativi di periodi diversi
della band. Soprattutto gli anni di Alphonso Johnson, di
Jaco Pastorius, quando la band, a mio parere, era all'apice
delle sue potenzialità. "Night Passage" resta il mio
album preferito, e uno dei dischi più belli mai
registrati, ma è così perfetto che non ho
ritenuto di poter intervenire in alcun modo. Dopo l'uscita
di Jaco, c'è stata ancora grande musica, con Victor
Bailey e Omar Hakim, ma sarebbe stata una quantità
enorme di materiale
chissà, forse in un secondo
volume! MB:
Quando ho cominciato a ragionare sul progetto, c'era un
aspetto importante da superare: la grande emozione di
suonare la musica dei miei idoli. Ho cercato di restare
concentrato sulle composizioni, e anche di mettere in
discussione il modo di reinterpretarle. Discutere i tuoi
idoli è, per me, essenziale quando vuoi realizzare un
contributo, piuttosto che un tributo. Ho scelto i brani
cercando di individuare i punti in cui sentivo che potevano
esserci altre soluzioni. Ad esempio, in "Volcano for Hire"
abbiamo preso la sezione C, e l'abbiamo usata come prima
parte per una improvvisazione. In questo modo il pezzo
inizia dove, nell'originale, termina. Infatti,
Michiel, la tua non è soltanto la "traduzione"
acustica del repertorio targato WR: si ha la sensazione che
tu voglia, in alcuni casi, destrutturare la forma (di
"Birdland" suoni soltanto la prima sezione, e "Three Views
of a Secret" è basata sul materiale armonico che
nell'originale costituisce la coda)
MB:
Esattamente! Mi piace suonare con musicisti con i quali ho
un'intesa quasi telepatica. Non abbiamo mai provato quelle
canzoni, ma abbiamo parlato delle direzioni che avrebbero
dovuto prendere, del senso, del gusto e della intima essenza
di quella musica. Abbiamo
provato "Three views of a secret" in trio, piano,
contrabbasso e batteria. Il risultato era buono, ma aveva un
sound troppo alla Bill Evans, anche perché il pezzo
è un valzer. Così l'abbiamo provata in duo,
col grande Han Bennink alla batteria, e la prima take
è quella che senti sul disco. Un'ultima
domanda sulla musica dei WR: cos'è che la rende
così speciale, qual è il suo
segreto? MB:
La musica dei WR è grande perché nella band
c'erano tre dei migliori compositori del ventesimo secolo,
capaci inoltre di improvvisare sui loro strumenti, e questa
è una rara combinazione. Quando ascolto i WR, sento
le persone che parlano, non i musicisti che suonano.
Naturalmente, l'analisi porta alla luce dei veri e propri
tesori di tecnica strumentale
JM:
Ciò che rende la musica dei WR così speciale
è la natura visionaria di Joe Zawinul e Wayne
Shorter, come musicisti e come compositori di musica
immortale. Ecco il segreto: melodie senza tempo. Una grande
melodia si ricorda per sempre. E poi, l'abilità di
tradurre queste melodie presentandole in un nuovo modo,
usando ogni sorta di strumenti a loro disposizione -
elettrici, acustici, percussioni, sintetizzatori, voci. Oggi
c'è una tecnologia più avanzata, ed ho cercato
di utilizzarla nel mio tributo. Tratto
dalla rubrica Ultrasuoni di Alias, supplemento settimanale
de "Il
Manifesto"
(www.ilmanifesto.it), sabato 2 settembre 2000. |