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CANTA IL CORPO ELETTRICO
Una formula segreta e vincente.
A trent'anni dalla formazione dei Weather Report
e a quindici dallo scioglimento, sulla musica
creata da Zawinul e soci splende ancora il sole

di Vincenzo Martorella

Tratto dall'articolo pubblicato su
"
Il Manifesto" del 2 settembre 2000
Per gentile concessione di Vincenzo Martorella

 

IL JAZZ A UN PASSO DAL FUTURO

È una questione di formule. Come la Settimana Enigmistica, o la Coca Cola, ci sono cose che non possono essere replicate perché non se ne conosce l'intima struttura, quel segreto, di solito ben conservato, che rende sempre l'originale migliore della copia. La musica dei Weather Report appartiene a quell'esclusivo catalogo di capolavori che, pur vantando innumerevoli tentativi di imitazione, resistono (anche all'usura del tempo) in virtù di una irraggiungibile, alchemica disposizione ad anticipare il proprio tempo. Opere postume, le avrebbe chiamate Wittgenstein.

Ma non è il caso di scomodare un grande filosofo. O forse sì, perché lo stesso Wittgestein una volta operò una distinzione (di chirurgica precisione) tra chi è scrittore e chi, invece, è creatore di linguaggio (Sprachschopfer). Ecco, nell'analizzare l'arte eventuale e fragile del Bollettino Meteorologico, sottoposta agli incredibili traumi che ogni nuovo linguaggio deve sopportare, non è inutile assumere come punto di partenza il dato, apparentemente così ingenuo (capace, però, di far storcere il naso a più di una generazione di critici), che siamo di fronte a un'impresa colossale e problematica: quella di sintetizzare, in un nuovo e articolatissimo paradigma, uno sterminato insieme di codici e espressioni stilistico-formali; un'operazione rischiosa, degna però di chi non si limita a collezionare entomologicamente insetti linguistici rinsecchiti, di chi non si limita ad accumulare materiale collocandolo in un calderone dall'imprecisa e opaca ragione d'essere: in una parola, degna di uno Sprachschopfer.

Nell'arco temporale in cui si è sviluppato il loro discorso musicale, i Weather Report, con le difficoltà e gli intoppi del caso, hanno proceduto a sviluppare quegli elementi in un linguaggio ulteriore, pienamente autonomo, la cui quota di innovazione non è stata l'essere un registro possibile dei dialetti musicali del mondo, catalogati e schedati asetticamente, quanto la capacità di tradurli in un nuovo sistema di significati.

Ancora oggi, a trent'anni dalla fondazione, e quindici dallo scioglimento, basta un niente perché la rete sia percorsa da ansie e fremiti: una notizia non verificata, l'annuncio di un disco di inediti dei Weather Report, e le mailing list si arrotolano su se stesse replicando all'infinito richieste di informazioni. Di solito, non c'è nessun disco all'orizzonte (per quanto lo stesso Zawinul, il "grande vecchio", ne abbia più volte lasciato intravedere l'imminente realizzazione), ma il grande interesse che tuttora smuove un esercito di fedeli appassionati è l'evidente segno di una presenza ancora viva nell'immaginario sonoro dei nostri tempi. Che i Weather Report, peraltro, hanno contribuito in maniera decisiva a delineare, in virtù di un lascito musicale che costituendosi come virtuale giacimento dal quale attingere colori, sapori, sfumature e tinte, è entrato nella globalizzazione dei segni musicali del nostro tempo grazie a un'infinita serie di travasi e imprestiti stilistici.

Dunque, è ancora bel tempo per il Bollettino Meteorologico; e se la pubblicazione di inediti viene puntualmente rimandata il trentennale della fondazione della band (era il dicembre 1970) impone una riflessione su questo enorme campionario di invenzioni, sul senso ultimo di una scommessa vinta con un formidabile lancio di dadi, su un pensiero che esplicita il senso di una musica creata sul sottile gioco delle suggestioni, sensibile al rischio e ai gesti inattesi, continuamente alla ricerca di confini mobili e di limiti da oltrepassare, e che si situa, con un rigore pari a certa infantile follia, in quell'incrocio nevralgico nel quale convergono jazz, musica contemporanea e musiche del mondo, tracciando l'itinerario dei segni sonori del nostro tempo.

Il corpo elettrico

"I sing the body electric, / The armies of those I love engirth me and I engirth them, / They will not let me off till I go with them, respond to them, / And discorrupt them, and charge them full with the charge of the / soul".

Walt Whitman, Leaves of Grass

Correvano gli anni, e forse non sapevano dove andare. Gli anni '70, poi, per il jazz furono tempi duri: sfumata la centralità stilistica dei grandi maestri, frammentato e lacerato il tessuto estetico-sociale sul quale si andavano costituendo nuovi orizzonti espressivi, le uniche alternative possibili al mainstream dilagante, a uno strisciante revisionismo (e a una certa pochezza progettuale) sembravano essere le ricerche violente dell'avanguardia, ormai consapevole e intellettualizzata. Oppure le criticatissime e inusitate aperture al mondo del rock di sua maestà Miles Davis, artefice di uno stravolgimento linguistico che avrebbe avuto durature conseguenze sul mondo del jazz. E questo fu il campo dal quale, in definitiva, si ottenne il raccolto più ricco: dal magmatico e sciamanico laboratorio davisiano, infatti, uscirono con idee luminose molti dei futuri protagonisti dell'epopea jazz-rock. Tra questi, Joseph Zawinul (Vienna, 1932) e Wayne Shorter (Newark, NJ, 1933) i quali, unendosi in ditta sotto la fortunata denominazione di Weather Report (bollettino meteorologico), riuscirono davvero ad annusare l'aria che tirava.

Le loro precedenti esperienze musicali avevano un comun denominatore: il soul jazz. Sorta di musica degenerata, a sentire i critici dell'epoca, questo prezioso dizionario stilistico aveva ristabilito un paradigma fondamentale nel complesso equilibrio della cultura, e della comunità, afroamericana: il coinvolgimento del corpo, l'assunzione del corpo sociale non più visto come mera interfaccia estetica, quanto come polo di coinvolgimento fisico ed emotivo. Il jazz stava perdendo spontaneità, infilandosi nei vicoli ciechi di un intellettualismo la cui spinta si era come dissolta nel volgere di un decennio. Bisognava, allora, ridurre le distanze col popolo afroamericano, restituire al jazz una presa sul presente: semplificare per progredire. Il soul jazz portò a termine esattamente questo impegnativo progetto, recuperando dalla tradizione della musica afroamericana il patrimonio di visceralità e gioia pagana che, qualche anno più tardi, avrebbe trovato ulteriore sistemazione stilistica addirittura nel free jazz. Ma il soul jazz, pur nella sua piena individualità jazzistica, era musica pensata, costruita ed eseguita per inebriare e inebriarsi, danzare e partecipare, e le sue coordinate stilistiche furono segnate dal recupero della dimensione ritualistica, dallo sciogliere i nodi di un intellettualismo ormai astratto, dalla pulsazione danzante e danzereccia, dalla riassunzione di una sfera partecipativa.

Il soul jazz, dunque, dava voce, corpo, movimento e sudore a quel complesso gioco di richiami a elementi fondamentali della negritudine, traducendoli in un sistema di codici stilistici eterogeneo e trascinante, attraverso il quale stabilire connessioni con il rhythm&blues per ottenere una geniale quadratura del cerchio. Cannonball Adderley seppe, negli anni Sessanta, sviluppare alcuni assunti del soul jazz avvalendosi della preziosissima collaborazione di Joseph Zawinul, fondando una nuova simbolica del jazz. Il suono del piano elettrico, il beat pigro e regolare, il visionario timbro del suo sax, gli consentirono di creare un modello certo di riferimento per gli anni a venire. "Mercy, Mercy, Mercy", e ancor di più "Country Preacher", ascoltate oggi hanno l'aria di folgoranti premonizioni.

Il soul jazz restituì al corpo una musica da ballare.
Ma il progetto di Zawinul e Shorter, in realtà, era più complesso. Assorbiti gli umori davisiani, filtrati attraverso una lucida e peculiare visione musicale, i due, dopo un necessario periodo di apprendistato, si trovarono ad operare necessariamente scelte di diverso tipo: timbriche, espressive e, soprattutto, formali. L'epopea del jazz-rock, nella quale la musica dei Weather Report si era inscritta di diritto, aveva elaborato un universo linguistico affatto nuovo, che però si sviluppava su una limitata scelta di opzioni armoniche: inventata una nuova lingua, mancava la sintassi. E', allora, sul versante della forma che Zawinul e Shorter, coadiuvati dal formidabile bassista Jaco Pastorius, impressero una sterzata decisiva.

Tempi duri

Heavy Weather, pubblicato con enorme successo nel 1977, rappresenta, meglio di ogni altra opera targata Weather Report, il laboratorio privilegiato nel quale osservare tecniche e procedimenti destinati a diventare, di lì a poco, il ricettario fondamentale della fusion music. Intanto, il timbro. Zawinul ha più volte dichiarato che ogni sua composizione nasce non tanto da un'idea quanto da un suono, e la successiva formalizzazione è la pura e semplice trascrizione su carta del materiale improvvisato e registrato. Vero, ma in parte. Prendiamo Birdland, celeberrima hit della band. Il nucleo originario del brano non è il ritornello, quanto il primo tema, che Zawinul inizia a proporre dal vivo sin dal maggio '76 (un mese dopo aver ufficialmente assunto Pastorius, e due prima di entrare in studio per registrare l'album) inserito in un contesto affatto diverso. La segmentazione melodica, in quello stadio intermedio, ricorda più le precedenti prove, piuttosto che indicare un nuovo itinerario. In quei due mesi, evidentemente, l'elaborazione formale prese il sopravvento sull'istinto timbrico, e la versione definitiva dimostra quanto sottile e "pensato" fosse il tiro strategico. A volerlo fischiettare, il ritornello sembra una filastrocca, ti entra nel cervello e non ne vuole più uscire: per questo è stata usata per sonorizzare un celebre spot che raccontava la "Milano da bere": una melodia universale in grado di coprire uno spazio virtuale che va dai Manhattan Transfer al sax mellifluo di Fausto Papetti. Ma che, a guardarla da vicino, rivela strutture formali innovative, procedure armoniche coraggiose: un'idea di musica ad un passo dal futuro. Attorno al ritornello, infatti, si snoda una struttura formale estremamente complessa: addirittura sei temi, il cui collante è un solidissmo rapporto tra le varie componenti, che da figura in una sezione si trasformano in sfondo nella successiva (quasi a voler mimare un teatrale gioco di quinte mobili).

Birdland, dunque, è un esempio chiarissimo di come i WR avessero abbandonato sia le lunghe e ipnotiche improvvisazioni di stampo modale, sia la pratica consueta dell'"esposizione del tema-improvvisazione a turno dei solisti-riesposizione finale del tema", per esplorare un territorio fertilissimo in cui la forma del brano allude all'universo chiuso della canzone, stravolgendolo però dall'interno. In altre parole, costruito uno schema di immediata riconoscibilità, grazie all'apparizione regolare del ritornello, orecchiabile e coinvolgente, Zawinul e soci lo smembrano in maniera quasi impercettibile.

A Remark You Made, poi, è il prototipo della fusion ballad: in essa compaiono, per la prima volta, melodie all'unisono sax-basso (così tipiche della fusion successiva), eppure non è facile accorgersi di come tutto il brano sia basato su una sola, lunghissima e sinuosa linea melodica (degna del miglior Bellini), intima e quasi sussurrata, con spazi di improvvisazione limitati a una breve sezione conclusiva prima della ricapitolazione finale. Le due composizioni di Shorter, Harlequin e Palladium, ne mostrano, la prima, il lato apollineo, in un gioco di chiaroscuri armonici, di modulazioni improvvise, di note sparse, mentre la seconda, basata su di un'intuizione melodica di sconcertante semplicità, acuisce il lato dionisiaco, con l'orgiastica riproposizione finale del ritornello in cui basso, batteria e percussioni (moltiplicati dsa numerose sovraincisioni) si stratificano in un pazzesco gioco di incastri, con tanto di steel drums suonate da Pastorius. Paradossalmente, dunque, in "Heavy Weather" c'è pochissima improvvisazione, un richiamo continuo alla fisicità e alla propulsione ritmica della musica nera di consumo, l'opzione su scelte melodiche accattivanti. Eppure, questo è un disco intimamente jazzistico, che si richiama alla lezione di Duke Ellington: per la sapienza degli impasti timbrici, per il lavoro sulla forma, per l'idea di contaminazione, per il tentativo di restituire al jazz una presa sulla realtà, "Heavy Weather" costituisce un momento dopo il quale il jazz non sarà più lo stesso.

Probabilmente, anche la musica dei Weather Report non sarà più la stessa, sin da quel fulminante capolavoro. Eppure, il progetto essenziale era stato elaborato e realizzato: restituire alla musica un corpo da ballare.

FUORI I DISCHI

Weather Report (CBS 1971) Registrato in quattro giorni, senza che la band avesse mai suonato dal vivo, in termini musicali è un azzardo ben calcolato: le idee di Miles Davis vengono filtrate attraverso una poetica del colore, in cui la ricerca timbrica assume valenza fondamentale. L'introduzione di "Milky Way", apparentemente suonata da una tastiera elettronica, è invece ottenuta con un normale pianoforte.

I Sing the Body Electric (CBS 1972) Eric Gravatt sostituisce Alphonze Mouzon, Dom Um Romao prende il posto di Airto Moreira, e il suono WR si fa ancora più rarefatto. Compaiono strumenti inusitati, come la chitarra a 12 corde di Ralph Towner in "The Moors", il corno inglese di Andrew White, il flauto di Hubert Laws, altro ospite eccellente, e inizia l'infinita ricerca sotterranea sulla vocalità, cui, in questo disco, prestano il loro apporto Yolanda Bavan, Joshie Armstrong e i Chapman Roberts Singers. Zawinul sperimenta ogni possibile approccio con il proprio strumentario, trasformando il pianoforte in una immensa tavolozza timbrica, come in "Surucucu", in cui il pianista austriaco mette a contatto delle corde ogni sorta di oggetti, in un vero e proprio piano preparato. La seconda facciata dell'album, registrata dal vivo in Giappone, testimonia l'enorme energia che il gruppo riesce ad esprimere; la prima, invece, scava nella direzione dell'album precedente, con l'aggiunta di una maggiore attenzione alla complessità strutturale.

Sweetnighter (CBS 1973) Da quest'album in poi, i WR riscoprono gradualmente l'importanza della mobilità armonica, e lentamente si scrollano di dosso l'immagine di staticità, che pure avevano scelto autonomamente, combinando e differenziando percentualmente le dosi di ritmo, armonia e timbro in quell'alchemica mistura che a grandi passi s'incamminava verso la contaminazione di forme e generi. Ma, soprattutto, è il disco che segna l'inizio di una fase dominata dal groove, dalle tessiture ritmiche.

Opera rivoluzionaria e ipnotica, assetata di ritmo, "Sweetnighter" rinuncia all'equilibrio e alla coerenza interna del progetto per esplorare il sottile rapporto tra figura e sfondo, in un'orgia ritmica che ispirerà, quindici anni dopo, gli hip hoppers più radicali.

Mysterious Traveller (CBS 1974) Segna la grande svolta nella traiettoria artistica della band. La propulsione ritmica (amplificata, talvolta, dall'uso di due batteristi, Skip Hadden e Ishmael Wilburn, e dal basso infallibile di Alphonso Johnson) viene messa al servizio di una più netta propensione allo sviluppo tematico per brevi riff, che si stagliano su un materiale armonico apparentemente statico; ma il recupero della modalità e di un certo aplomb pentatonico apre la strada alla realizzazione di un inedito incrocio tra ritmi danzanti e dissoluzione della forma jazzisticamente intesa. Il funky di "Cucumber Slumber", la poesia etnica di "Jungle Book", e l'incedere mesmerico di "Nubian Sundance" sono schegge di futuro in un disco imperdibile.

Tale Spinnin' (CBS 1975) Variabile come il tempo, la musica del Bollettino Meteorologico vira verso la ridefinizione delle aree d'espressione intrapresa dal gruppo: ancora cambi d'atmosfera guidati dal timbro, ma il ritmo non conosce più slittamenti, la scansione diventa binaria, rappresentando il filo rosso sul quale dipanare il continuum sonoro, il cui dizionario si impreziosisce di sempre più numerosi lemmi e pronunce etniche. Eppure, l'elemento di maggiore novità è rappresentato dall'adozione di schemi formali che rimandano alla forma-canzone, e la creazione di melodie semplici e immediate: le si potrebbe fischiettare…

Black Market (CBS 1976) Le fitte trame ritmiche architettate da Zawinul mettono a dura prova la resistenza dei musicisti. Leon Ndugu Chandler e il percussionista brasiliano Alyrio Lima cedono il posto (dopo aver rilevato l'ex Sly and Family Stone Greg Errico, Ishmael Wilburn, inadatto ai grandi concerti, e Daryl Brown, secondo batterista dal vivo) all'eclettico Alejandro Acuna, e a Chester Thompson, che si era fatto le ossa suonando le intricate partiture di Frank Zappa. E' la prima, grande sezione ritmica targata WR. D'improvviso, tutte le tessere sembrano trovare naturalmente il proprio posto nel mosaico policromatico immaginato dalle tastiere di Zawinul e dall'etereo, ellittico, linguaggio di Shorter. Niente sembra poter fermare questa formidabile macchina da guerra: neanche l'abbandono, nel bel mezzo della registrazione dell'album, di Alphonso Johnson, in procinto di mettere in piedi una band con George Duke e Billy Cobham. Anzi, è l'inizio della vera e propria rivoluzione: per l'incisione di "Cannon Ball", dedicata all'amico scomparso poco tempo prima, Zawinul convoca un giovane e sconosciuto bassista, Jaco Pastorius. Il resto è storia.

Heavy Wheather (CBS 1977) Si materializza con la stessa forza di un marziano caduto sulla Terra: non più lunghe improvvisazioni su pedale, ma composizioni strutturate in cui la forma stessa viene sottoposta a micidiali elaborazioni; la componente ritmica esaltata dalle possenti linee bassistiche di Pastorius, intrise di R&B e funky, allude con lucidità alla black music; il suono della band sa essere complesso e immediato allo stesso tempo; i temi, facili ma non semplici, vivono una prospettiva melodica inedita. I WR trovano la quadratura del cerchio, fondendo in un contenitore a mille facce le anime stesse di quella musica che, da quel momento in poi, avrebbe chiamato fusion. Contribuisce alla creazione di questo assoluto capolavoro l'estro di Acuna, spostato, con grande intuizione, alla batteria, e la frenetica fantasia coloristica del giovane percussionista Manolo Badrena.

Mr. Gone (CBS 1978) E' il segno di una profonda transizione: mai come dai solchi di questo album la centralità di Zawinul emerge così chiaramente; la musica ruota attorno a strati di sintetizzatori, senza che attorno ad essi ci sia un organico stabile, quasi che ogni brano richieda l'apporto di musicisti diversi. Dal magma sonoro, però, scaturiscono idee affascinanti, come quella di unire il groove della disco music alla mescolanza timbrica basso fretless/synt Oberheim per le linee di basso in "River People", e il primo vero confronto con la forma canzone nella splendida "And Then" (musica di Zawinul su testo di Sam Guest), affidata a Maurice White e Deniece Williams: il cerchio è chiuso, la rivoluzione completata.

8:30 (CBS 1979) Registrato in gran parte dal vivo, l'album è la straordinaria testimonianza di una band allo zenith delle proprie potenzialità tecnico-espressive. Un quartetto, con Peter Erskine alla batteria, già lungamente rodato nel corso del "Mr. Gone" tour, che governa con disarmante efficacia spettacolarità e interplay. L'ultima facciata, nell'originale edizione di doppio Lp, è registrata in studio, con materiale che sembra ricollegarsi al recente passato della band.

Night Passage (CBS 1980) Forse non era soltanto un caso la presenza, nell'album precedente, di una versione di "Pinocchio", che Shorter scrisse quando militava nel quintetto stellare di Miles Davis. Il ritorno al jazz, allo swing come pura forma di comunicazione ritmica, connota questo ennesimo capolavoro, caratterizzato non soltanto da nuove e inquietanti escursioni all'interno del mondo melodico-timbrico (dimensioni virtualmente inscindibili) del pianista austriaco, quanto da una nervosissima rivisitazione del repertorio ellingtoniano ("Rockin' in Rhythm"), formidabili esplosioni di virtuosismo ("Fast City"), oltre a un piccolo gioiello firmato Pastorius ("Three Views of a Secret").

Weather Report (CBS 1982) Non è chiara la ragione che spinse ad intitolare questo album come il disco d'esordio. Altrettanto oscura è la flessione creativa del gruppo, che si spalma su un materiale che brilla poco, e solo per illuminazioni fugaci. Per il quintetto con Erskine, Pastorius e il percussionista Bobby Thomas jr., è il canto del cigno: i tre lasceranno la band nell'estate dell'81, dopo l'ennesimo massacrante tour, e registrano l'album per assolvere a obblighi contrattuali. Tutto è, di nuovo, nelle mani di Zawinul, che firma tutti i pezzi (tranne uno, "When it Was Now", prodromico dei futuri lavori solistici di Shorter).

Procession (1983) Una band nuova di zecca marca un ennesimo, nuovo capitolo per il Bollettino Meteorologico. Scommettendo sul freschissimo talento dei giovani Omar Hakim, Victor Bailey e Jose Rossy, Zawinul e Shorter riscoprono la voglia di suonare e stupire. Per quanto troppo superficialmente sottovalutato, questo è un disco intenso, che per qualità del materiale composto non è certo inferiore alle precedenti prove della band. E nonostante Bailey non abbia le mirabolanti capacità tecniche di Pastorius, e Hakim sia un batterista più muscolare e groove-oriented di Erskine, la musica dei WR si cristallizza attorno ad una ritrovata felicità espressiva, ad una rinnovata capacità di miscelare suoni e saperi provenienti da mezzo mondo. Indimenticabile la shorteriana "Plaza Real", impreziosita da uno dei migliori soli di Zawinul, e il cameo che i Manhattan Transfer, reduci dal successo della cover di "Birdland", regalano in "Where the Moon Goes".

Domino Theory (CBS 1984) Forse un passo indietro nella ridefinizione della rotta, nonostante i possenti ritmi funky, la splendida "Can it be done", cantata con classe da Carl Anderson, e la massiccia spinta propulsiva del groove. Zawinul rompe il fiato, e si lancia in spericolate corse nei territori modali che rappresentano, ormai, come in una sorta di traiettoria ad arco, un ritorno alle origini; ma, in questo caso, l'attenzione ai problemi formali rivela l'ennesimo paesaggio interiore del pianista austriaco: "D flat Waltz" è un piccolo capolavoro di sapienza architettonico-ritmica. Nella foresta sonora si affacciano i primi timbri interamente digitali.

Sportin' Life (CBS 1985) Vive di una tavolozza cromatica affascinante: l'uso delle voci, spesso impegnate a disegnare melodie senza parole (tra gli ospiti: Carl Anderson e Bobby McFerrin), i colori sintetici delle macchine, e il suono di Shorter, ridotto però a pura risorsa timbrica. L'euforia ritmica, lo slancio eufonico, i sapori etnici, forse, tradiscono un calo di creatività, e mettono in luce come l'orizzonte zawinuliano vada assottigliandosi, arrotolandosi capricciosamente sulla stessa linea. La musica mostra segni di stanchezza, è esausta, ma non è ancora l'ultima possibile.

This is This (CBS 1986) Anche gli addii sono una questione di stile: nel retrocopertina Zawinul e Shorter si stringono la mano, e sulla busta interna vengono raffigurati tutti i musicisti che hanno suonato nei quindici anni del Bollettino Meteorologico. E', dal punto di vista musicale, un'anticipazione di quanto Zawinul, ormai unico leader della band, avrebbe sperimentato di lì a poco con il Syndicate: e non è un caso che quattro mesi dopo viene pubblicato Dialects (CBS), nel quale Zawinul precisa i termini di una ricerca indirizzata verso un ecumenismo musicale, che prende, sminuzza e mescola idee, lingue e, appunto, dialetti, provenienti dai quattro angoli del globo per creare, dal nulla, una geografia immaginaria.

SE IL TRIBUTO È CONTRIBUTO
Intervista a Jason Miles e Michiel Borstlap

Realizzare un tributo alla musica di Zawinul e soci è impresa complessa, con mille variabili in gioco da tenere costantemente sotto controllo. A tale cimento, l'olandese Michiel Borstlap e l'americano Jason Miles, pianisti, si sono avvicinati da punti di vista, e approcci poetici, totalmente differenti: l'uno giocando sulle nuances acustiche, l'altro invertendo le polarità ritmiche e enfatizzando il dettato melodico.

Ma tradurre è un po' tradire, e dunque il merito di questi due album, pur nella loro diversità, è quello di indagare tra le pieghe di opere virtualmente perfette; e il tradimento, a volte, innesca vertiginosi cortocircuiti.

A loro abbiamo chiesto di raccontarci in che modo hanno raccolto la sfida.

Una domanda preliminare: perché un tributo alla musica dei Weather Report?

Michiel Borstlap: Quando ascoltai per la prima volta la musica dei WR fu una specie di rivelazione, la scoperta di una musica totale. Aveva un ritmo speciale, armonie incredibili combinate a melodie mozzafiato, e si sentiva dappertutto, nei club, nei festival. Questa musica in "3D" fu la ragione per la quale decisi di fare il musicista

Jason Miles: La musica dei WR è una miscela purissima di jazz, funk e world music, e ognuno di questi ingredienti è esplorato in profondità, com'è evidente in molti brani, da "Cucumber Slumber" a "Jungle Book", da "Night Passage" a "Elegant People". Il mio rapporto con la loro produzione è iniziato trent'anni fa, all'epoca dell'uscita del loro primo disco: più lo ascoltavo, più sentivo che stava succedendo qualcosa di realmente nuovo. Speravo soltanto che continuasse, e così è stato per almeno quindici anni. Una musica che non aveva confini, suonata da veri capiscuola. Devo a quella musica l'essere diventato un musicista, e ho cercato di rimanere fedele alla loro idea di contaminazione.

Quali sono stati i problemi da risolvere nel suonare la musica dei WR, e quali le idee di base che vi hanno guidato nella realizzazione dell'album?

JM: Quando ho deciso di realizzare un disco con musiche dei WR in molti mi hanno dato del pazzo. In realtà, consapevole delle difficoltà di tale progetto, ho semplicemente voluto rendere omaggio ad una delle migliori band di tutti i tempi. L'idea di base è stata quella, da un lato, di fare in modo che le melodie fossero ben evidenti in ogni pezzo; dall'altro, di comunicare alla gente come sarebbe stata questa musica nel nuovo millennio. Non ho cercato di essere come loro, ma di farli conoscere ad un nuovo pubblico e di ravvivare i ricordi dei loro fans di lunga data.

Inoltre, ho voluto porre l'accento sui grooves nella loro musica. Ho pensato che fosse una buona idea presentare ognuno dei pezzi con un groove solido, dato che oggi ci sono molti più formati ritmici a disposizione. Per la scelta dei pezzi, ho ascoltato almeno tre volte tutti gli album dei WR, e ho scelto i brani che mi piacevano di più e che allo stesso tempo fossero rappresentativi di periodi diversi della band. Soprattutto gli anni di Alphonso Johnson, di Jaco Pastorius, quando la band, a mio parere, era all'apice delle sue potenzialità. "Night Passage" resta il mio album preferito, e uno dei dischi più belli mai registrati, ma è così perfetto che non ho ritenuto di poter intervenire in alcun modo. Dopo l'uscita di Jaco, c'è stata ancora grande musica, con Victor Bailey e Omar Hakim, ma sarebbe stata una quantità enorme di materiale… chissà, forse in un secondo volume!

MB: Quando ho cominciato a ragionare sul progetto, c'era un aspetto importante da superare: la grande emozione di suonare la musica dei miei idoli. Ho cercato di restare concentrato sulle composizioni, e anche di mettere in discussione il modo di reinterpretarle. Discutere i tuoi idoli è, per me, essenziale quando vuoi realizzare un contributo, piuttosto che un tributo. Ho scelto i brani cercando di individuare i punti in cui sentivo che potevano esserci altre soluzioni. Ad esempio, in "Volcano for Hire" abbiamo preso la sezione C, e l'abbiamo usata come prima parte per una improvvisazione. In questo modo il pezzo inizia dove, nell'originale, termina.

Infatti, Michiel, la tua non è soltanto la "traduzione" acustica del repertorio targato WR: si ha la sensazione che tu voglia, in alcuni casi, destrutturare la forma (di "Birdland" suoni soltanto la prima sezione, e "Three Views of a Secret" è basata sul materiale armonico che nell'originale costituisce la coda)…

MB: Esattamente! Mi piace suonare con musicisti con i quali ho un'intesa quasi telepatica. Non abbiamo mai provato quelle canzoni, ma abbiamo parlato delle direzioni che avrebbero dovuto prendere, del senso, del gusto e della intima essenza di quella musica.

Abbiamo provato "Three views of a secret" in trio, piano, contrabbasso e batteria. Il risultato era buono, ma aveva un sound troppo alla Bill Evans, anche perché il pezzo è un valzer. Così l'abbiamo provata in duo, col grande Han Bennink alla batteria, e la prima take è quella che senti sul disco.

Un'ultima domanda sulla musica dei WR: cos'è che la rende così speciale, qual è il suo segreto?

MB: La musica dei WR è grande perché nella band c'erano tre dei migliori compositori del ventesimo secolo, capaci inoltre di improvvisare sui loro strumenti, e questa è una rara combinazione. Quando ascolto i WR, sento le persone che parlano, non i musicisti che suonano. Naturalmente, l'analisi porta alla luce dei veri e propri tesori di tecnica strumentale…

JM: Ciò che rende la musica dei WR così speciale è la natura visionaria di Joe Zawinul e Wayne Shorter, come musicisti e come compositori di musica immortale. Ecco il segreto: melodie senza tempo. Una grande melodia si ricorda per sempre. E poi, l'abilità di tradurre queste melodie presentandole in un nuovo modo, usando ogni sorta di strumenti a loro disposizione - elettrici, acustici, percussioni, sintetizzatori, voci. Oggi c'è una tecnologia più avanzata, ed ho cercato di utilizzarla nel mio tributo.

Tratto dalla rubrica Ultrasuoni di Alias, supplemento settimanale de "Il Manifesto" (www.ilmanifesto.it), sabato 2 settembre 2000.
Per gentile concessione di
Vincenzo Martorella.

 
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